Relazioni tossiche: come riconoscerle e come gestirle

Ciao a tutti e benvenuti in questo mi nuovo video – articolo. Oggi vi voglio parlare di relazioni tossiche. Cercherò di spiegare come fare a riconoscerle e come gestirle.

relazioni tossiche

Introduzione

Che cosa si intende per relazioni tossiche? Cercherò di darne una definizione in base alla mia esperienza come psicologo e psicoterapeuta. In generale una relazione può definirsi tossica quando è una relazione dove non riusciamo ad essere noi stessi, cioè la nostra soggettività, le nostre particolarità, la nostra libertà non sente di potersi esprimere, quindi non ci sentiamo liberi di portare in questa relazione i nostri pensieri e bisogni (emotivi e pratici) o perché diventiamo troppo passivi (ad esempio se ci mettiamo nella posizione di vittima) e ci reprimiamo, oppure se diventiamo troppo aggressivi, troppo impositivi.

Quindi una relazione diventa tossica quando ciascuno dei due è di ostacolo alla crescita psicologica dell’altro. Infatti è importante ricordare che si tratta di una dinamica psicologica e quindi sono entrambi gli individui che si comportano in modo da rendere tossica la relazione.

Riattivare traumi del passato

Se mi rendo conto di impedire al mio partner o alla mia partner di avere ad esempio altre relazioni e amicizie, interessi al di fuori della coppia, perché magari sono troppo geloso, questo è segno di possibile tossicità all’interno del rapporto.

Un partner diventa tossico quando riattiva vecchie ferite psicologiche nell’altro partner, cioè quando riattiva traumi del proprio passato. Traumi è una parola che può essere usata sia per situazioni vissute nell’infanzia apparentemente non gravi che però hanno segnato la nostra psiche ( es: un genitore che spesso mi svalutava e mi faceva sentire sbagliato o inadeguato) sia rispetto a situazioni vissute nell’infanzia molto forti e intense, i cosiddetti traumi da shock (es: violenza fisica o sessuale, morte improvvisa di un genitore ecc..)

Quindi a volte i nostri partner possono essere “ritraumatizzanti”, cioè riattivano delle nostre ferite. Faccio un esempio: se nella mia infanzia i miei genitori mi facevano sentire pesante nei miei bisogni, si mostravano infastiditi quando avevo delle richieste e adesso sto con una persona che si mostra disinteressata o infastidita per delle mie richieste giuste, ecco che allora questa relazione del presente potrebbe riattivare i miei traumi e ferite psicologiche infantili.

Relazioni tossiche: alcuni esempi

Vediamo alcuni esempi pratici di relazioni tossiche. Ad esempio mi rendo conto di essere troppo focalizzato su di me oppure il partner su se stesso, se vedo il mio partner che si disinteressa dei miei bisogni e sembra provare fastidio nel venirmi incontro, non cercando mai di mediare ma si impone nella relazione o in modo attivo (con un atteggiamento arrogante e prepotente) oppure in maniera passiva (attraverso i musi lunghi, togliendomi come dire la parola, diventando molto permaloso) questi possono essere tutti segnali di tossicità.

Infatti chiudersi e non parlare, non cercare una mediazione, non spiegare i propri bisogni diventa comunque un modo per manipolare l’altro.

Se in una relazione non abbiamo mai tempo per l’altro e abbiamo sempre altre cose più importanti da fare come impegni lavorativi inderogabili, anche questo è segno di un rapporto che va rivisto.

La mancanza di sincerità, o comunque il fatto di rendersi conto che gran parte della propria vita e pensieri, non vengono raccontati o vengono edulcorati e filtrati (non parlo di piccole cose) questo significa che c’è qualcosa che non va nel rapporto.

In altri casi può succedere che ci si sente troppo spesso in colpa verso il partner e ci si sacrifica eccessivamente mettendo da parte i propri bisogni e desideri perché si è convinti che questo atteggiamento può salva la relazione.

Come gestire o uscire da relazioni tossiche?

Vi descrivo alcuni atteggiamenti e consapevolezze che possono essere molto utili per uscire da una relazione tossica.


1) smettere di sacrificarsi per l’altro: l’amore non è basato sul sacrificio o sull’ abnegazione. Quindi basta fare l’infermiera per il proprio partner. È un campanello dall’arme che ci dice che non siamo più in un rapporto di coppia ma che siamo finiti in un rapporto di tipo genitoriale, cioè facciamo il genitore per il nostro partner.

2) smettere di imporsi agli altri: è importante prenderne consapevolezza e smettere di farlo perché imporsi con manipolazioni, sensi di colpa, ricatti affettivi o aggressività fisica o verbale distrugge il rapporto.

3) imparare a rispettare i limiti miei e i limiti dell’altro: ognuno deve essere abbastanza maturo e libero da sviluppare un sano egoismo. Gli altri non possono essere lì solo per noi e noi non possiamo essere lì solo per gli altri. Annullarsi è sbagliato, sacrificare totalmente se stessi è sbagliato così come chiedere all’altro di farlo per noi.

4) usare il dialogo: cercare di ascoltare l’altro e mettersi nei panni dell’altro (esercitare l’empatia) reciprocamente. Smettere di vedere l’altro come un genitore ma lavorare su se stessi perché per stare bene in coppia bisogna essere adulti. Infatti per stare bene in coppia devi stare abbastanza bene da solo o da sola. E’ importante che ognuno lavori per diventare realmente responsabile di sé è autonomo; l’autonomia è la base per poter avere delle relazioni sane.

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Attacchi di panico notturni: sintomi e rimedi

Gli attacchi di panico durano in genere solo pochi minuti ma causano un forte disagio. Spesso vengono vissuti come inaspettati, improvvisi e intensi. Ecco perché appaiono incomprensibili da chi ne soffre. In particolare gli attacchi di panico notturni creano una forte angoscia perché avvengono durante il sonno, provocando un risveglio improvviso.

attacchi di panico notturni: sintomi e rimedi

Attacchi di panico: definizione

Il termine “panico” deriva dal nome di una divinità greca, il dio Pan. Secondo la mitologia questo dio era il protettore dei pastori, dei boschi e dei corsi d’acqua. Nell’antica Grecia si credeva che se il dio Pan veniva svegliato durante il sonno emetteva un urlo così forte e terrificante che i passanti ne rimanevano spaventati a morte.

Attacchi di panico notturni

Tornando ai nostri tempi, per attacco di panico si intende una reazione d’ansia imprevedibile che emerge anche senza che ci sia stato uno stimolo specifico scatenante o un evento stressante. Chi ha sperimentato un attacco di panico nella vita lo descrive con sintomi simili ad una crisi cardiaca. Anche per questo molti pazienti dopo una crisi di panico si recano al Pronto Soccorso.

Attacchi di panico: sintomi tipici

Ogni attacco dura in media dai 5 ai 20 minuti, ed è caratterizzato da alcuni sintomi specifici: respiro corto, pressione al petto, paura di morire, fame d’aria, sudorazione eccessiva, vertigini, nausea, sensazione di perdere il controllo, depersonalizzazione e derealizzazione.

Nonostante l’intensità dei sintomi, nessuno di essi ha ripercussioni serie sull’organismo se non una forte paura e senso di impotenza che spesso fa emergere la paura anticipatoria di poter avere un’ altro attacco. Tutto ciò può portare l’individuo ad evitare luoghi, persone o situazioni che teme possano attivargli una crisi di panico, riducendo sempre di più la sua vita e arrivando in alcuni a casi a chiudersi in casa.

La diagnosi di disturbo di panico viene data solo quando gli attacchi sono frequenti e iniziano ad essere invalidanti.

In media il primo attacco compare tra i 20 e i 24 anni ed è un disturbo più frequente nelle donne, circa il doppio rispetto agli uomini.

Attacchi di panico notturni: sintomi

Le crisi di panico notturne sono particolarmente spaventose e angoscianti in chi ne soffre. Infatti emergono durante il sonno e creano un improvviso risveglio. I sintomi principali degli attacchi di panico notturni sono i seguenti:

  • forte ansia
  • risveglio improvviso
  • tachicardia: si avverte un’ accelerazione dei battici cardiaci
  • tremori
  • brividi o vampate di calore
  • dolore al petto: una sensazione di dolore o pressione al petto che viene scambiato per un infarto
  • sensazione di smarrimento e confusione
  • depersonalizzazione: sensazione di essere distaccati dal proprio corpo e della proprie sensazioni e pensieri
  • derealizzazione: si ha la sensazione di percepire il mondo esterno come da una bolla, di essere distaccati da esso.
  • paura di morire

Come si può facilmente capire da questo elenco, gli attacchi di panico durante il sonno sono molto angoscianti e la sensazione di impotenza e molto intensa. Spesso chi ha sperimentato una crisi di panico notturna inizia ad aver paura di andare a dormire, perché non vuole assolutamente sperimentale nuovamente una attacco simile.

Il sonno è uno stato di totale abbandono e rilassamento dove tutte le difese razionali e la capacità di controllo sono necessariamente inattive. Ma è proprio da questa totale mancanza di controllo che chi soffre di crisi di panico notturne vuole fuggire.

A differenza di quello che si può pensare, il panico notturno non è la conseguenza di incubi o sogni angoscianti. Infatti emerge nelle fasi precoci del sonno e non durante le fasi R.E.M. durante le quali sogniamo.

Crisi di panico notturne: cause

Gli attacchi di panico durano in media solo pochi minuti, ma lasciano un forte spavento in chi li sperimenta. Oltre ai sintomi più diffusi come ansia, sudorazione, vertigini, tachicardia ecc, una delle componenti principali che li distingue da un episodio di ansia intensa è la paura di morire. Al panico si associa spesso l’agorafobia, che consiste nella paura di rimanere intrappolati in un luogo o in una situazione della quale è impossibile o imbarazzante uscire.

Le crisi di panico notturne apparentemente sono prive di spiegazione e previsione da chi ne soffre. Anche per questo molte persone ricorrono da subito a rimedi naturali o formaci di varia natura. Sicuramente l’intervento farmacologico (supervisionato da uno psichiatra) può essere di grande aiuto in alcune situazioni. Tuttavia la maggior parte di coloro che soffrono di panico, compreso il panico notturno, possono trovare le cause profonde del malessere nella loro psicologia e in particolare nei i primi anni di vita e nelle relazioni con la famiglia d’origine.

Attacchi di panico notturni: cause psicologiche

Spesso gli attacchi di panico notturni e diurni emergono in seguito o in concomitanza a periodi particolari, come promozioni lavorative, separazioni, divorzi, lutti, cambi di abitudini ecc. Quindi già questi elementi fanno capire come sia fondamentale la componete psicologica nell’eziologia del panico.

Durante la psicoterapia emergono spesso esperienze infantili dove il senso di sicurezza è stato messo in pericolo. In altre situazioni il naturale bisogno di protezione e dipendenza dai genitori ha subito delle distorsioni, a causa di problematiche psicologiche dei genitori o di eventi di vita che sono sopraggiunti (come lutti, episodi di violenza assistita o ricevuta, abbandoni, ecc..). Genitori troppo ansiosi, rigidi, emotivamente distanti, giudicanti, incapaci di empatia sono spesso coloro che hanno cresciuto bambini che da adulti soffriranno di panico.

A queste esperienze si aggiunge anche una personale predisposizione biologica. Il mix delle due è alla base dei futuri attacchi di panico.

Coloro che soffrono di attacchi di panico hanno spesso bisogno di sentire il controllo sulla propria vita e sulle emozioni che provano; hanno difficoltà a lasciarsi andare, ad accettare di essere pienamente se stessi.

Il sonno è un momento in cui perdiamo necessariamente questo controllo, dobbiamo “mollare” per addormentarci! Ma per chi ha bisogno di controllo non è un’operazione così semplice.

Chi si è trovato a vivere situazioni familiari ed educative come quelle che ho descritto prima è comprensibile che provi rabbia o tristezza; tuttavia in chi soffre di panico queste emozioni spesso non sono riconosciute, ma vengono negate o scambiate per altro. Invece durante la psicoterapia emerge spesso che alla base del panico ci sono proprio queste emozioni che si fa fatica a riconoscere, accettare e regolare.

Attacchi di panico notturni: rimedi

Psicoterapia

La psicoterapia (di orientamento psicodinamico e cognitivo comportamentale) è la strada più efficace per risolvere gli attacchi di panico notturni e diurni. Nella prima fase del trattamento viene raccolta la storia di vita del paziente, facendo riferimento in particolare ai primi 10 anni di vita, all’ambiente familiare in cui si è cresciuti, al tipo di rapporto che i genitori hanno creato con il paziente. Si analizza inoltre il contesto sociale di provenienza e se sono presenti traumi di varia natura e intensità.

Nella relazione terapeutica si potranno osservare le problematiche relazionali che il paziente ha sviluppato e finalmente le si capiranno e affronteranno, fornendo se necessario indicazioni comportamentali e nuovi atteggiamenti utili a risolvere il panico.

Nella psicoterapia del panico è fondamentale il lavoro che viene fatto sulle emozioni. Infatti, come ho spiegato prima, spesso alla base del panico ci sono emozioni come la rabbia che vengono inconsciamente allontanate dalla coscienza perché vissute come dannose o pericolose. Ad esempio alcuni pazienti da bambini hanno imparato a vivere la propria rabbia come un pericolo, perché se la esprimevano temevano di rovinare il rapporto con i genitori o di essere rifiutati o abbandonati.

In questi casi può capitare che la rabbia venga espressa attraverso il corpo con vari tipi di somatizzazioni; cioè l’attenzione viene focalizzata sul corpo e non su cause e significati psicologici.

Farmaci

In alcuni situazioni è bene associare alla psicoterapia l’utilizzo di farmaci. In questo caso è fondamentale rivolgersi ad uno psichiatra. Alcuni hanno paura dei farmaci perché temono che possano dare dipendenza; ma non è così. Posso dire con certezza che da quando faccio lo psicoterapeuta non ho mai visto una persona che prende dei farmaci per curare il panico notturno sviluppare una dipendenza. Quando succede è perché la persona aveva già delle dipendenze (alcol, droghe di vario tipo ecc..).

Per altri l’uso di farmaci per il panico equivale ad una sconfitta personale. Eppure è facile scoprire che le stesse persone prendono un antidolorifico se hanno dolori di varia natura o una aspirina se hanno mal di testa!! Ma allora perché la stessa cosa non vale per il panico?

Ovviamente i farmaci non possono risolvere le cause psicologiche del panico ma non c’è da temere se almeno all’inizio per ridurne i sintomi si chiede aiuto alla chimica; poi poco alla volta si potranno abbandonare, man mano che la psicoterapia procede e si sta meglio.

Conclusioni

Gli attacchi di panico notturni posso rappresentare un’esperienza molto angosciante in chi li sperimenta. In questo caso il panico emerge in un momento della nostra vita dove abbandoniamo il controllo e siamo impotenti. Le cause sono legate alla vita infantile e alla predisposizione biologica. Ma è possibile risolvere il panico notturno in modo definitivo con la psicoterapia e se necessario con un breve periodo di assunzione farmacologica.

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Sintomi degli attacchi di panico: quali sono e come riconoscerli

Introduzione

Ti è mai successo di avere un attacco di panico? Probabilmente si: infatti prima o poi capita a tutti di avere un momento in cui l’ansia diventa così intensa da sentirci sconvolti, bloccati, fortemente impauriti, confusi rispetto a quello che ci sta succedendo. Ma non c’è da preoccuparsi; l’ansia e il panico sono meccanismi che la natura ci ha dato per proteggerci dai pericoli reali e spingerci ad interrogarci su noi stessi. In questo articolo descrivo i sintomi fisici degli attacchi di panico, gli eventi scatenanti e le cause psicologiche.

attacchi di panico: quali sono i sintomi?
Attacchi di panico

Attacchi di panico: definizione

Gli attacchi di panico sono caratterizzati da un’ansia molto forte e improvvisa. Alcune volte sono riconducibili ad una specifica situazione (come ad esempio nelle fobie: paura di volare, di prendere l’ascensore ecc..) ma altre volte chi ne soffre non riesce a capire cosa può averli scatenati. Proprio questa imprevedibilità li rende ancora più spaventosi e spinge molte persone a rinchiudersi in casa per cercare di evitare di provare le spiacevoli sensazioni che il panico porta con sé.

Attacchi di panico: sintomi fisici

Vi elenco qui di seguito i sintomi caratteristici:

  • accelerazione del battito cardiaco (tachicardia)
  • sensazione che il cuore abbia saltato un battito; può essere avvertita all’altezza del petto, del collo o della gola (palpitazioni)
  • improvvisa sudorazione
  • tremori improvvisi: si inizia a tremare in varie parti del corpo, come le gambe o i polsi.
  • respirazione faticosa: si fa fatica a respirare, si ha la sensazione che manchi il fiato o di soffocare, per questo motivo viene istintivo cercare di fare respiri profondi
  • dolore al petto: si avverte una sensazione di peso o di schiacciamento al petto che crea dolore.
  • nausea o dolori addominali
  • sensazione di sbandamento, di instabilità fisica, come se si stesse per svenire
  • paura di non avere più il controllo di se stessi, delle proprie azioni e dei propri pensieri, paura di impazzire
  • intensa paura di morire
  • sensazioni fastidiose di formicolio, spesso alle mani o ai piedi.
  • si alternano sensazioni di brividi o vampate di calore
  • alcune persone avvertono la sensazione che ciò che gli accade non sia reale (derealizzazione)
  • sensazione di essere staccati dal proprio corpo, come se si osservasse la scena da fuori (depersonalizzazione)

Si parla di disturbo di panico se ci sono stati almeno due episodi di panico intenso in un periodo di tempo ravvicinato (qualche giorno o settimana). Ogni attacco dura in media dai 5 ai 20 minuti, per poi scomparire gradualmente. Anche se breve, è un’esperienza molto spaventosa per chi l’ha sperimentata; di solito lascia un senso di stupore e incredulità.

La buona notizia è che di panico non si muore e che si può curare con ottimi risultati!

Attacchi di panico sintomi notturni

L’attacco di panico può avvenire anche di notte, durante il sonno. In questo caso i sintomi “notturni” degli attacchi di panico sono:

  • risveglio improvviso
  • forte ansia
  • tachicardia
  • tremori
  • brividi o vampate di calore
  • dolore al petto
  • sensazione di forte smarrimento e confusione
  • depersonalizzazione e derealizzazione
  • paura di morire e di avere un infarto

Quando il panico sopraggiunge di notte è ancora più inaspettato e spaventoso perché ci si trova in uno stato di totale abbandono e rilassamento, dove non c’è controllo e volontà, situazione tipica di chi sta dormendo. In questi casi ci si sente impotenti e fragili. Ecco che allora può emergere paura a riaddormentarsi per evitare di sperimentare un nuovo attacco.

Le statistiche dicono che circa la metà di coloro che soffrono di panico sperimenterà prima o poi il panico notturno. Alcuni pensano che siano legati a sogni angoscianti o incubi, ma in realtà il panico notturno emerge nelle fasi precoci del sonno e non nella fase durante la quale sogniamo (fase REM).

Cause degli attacchi di panico

Le cause di una attacco di panico possono essere molto diverse. A volte la causa può essere una e specifica: un esempio classico sono le fobie. Infatti chi ha paura di prendere l’ascensore avvertirà una forte ansia fino al panico al solo pensiero di entrarci. Altre volte le cause del panico hanno radici psicologiche più profonde e differenti da individuo ad individuo.

Infatti la vita, a partire dalle esperienze infantili, ci porta a costruire delle credenze su come funzionano i rapporti o su quello che pensiamo di noi stressi. Queste credenze sono come dei filtri attraverso i quali guardiamo la realtà o noi stessi e ci influenzano a livello inconscio. Se ad esempio abbiamo avuto esperienze traumatiche o rapporti difficili con i nostri genitori potremmo aver maturato la convinzione inconscia che nella vita bisogna tenere tutto sotto controllo e non ci si può mai affidare agli altri. Oppure potremmo esserci convinti che prendere una nostra personale direzione nella vita e differenziarci da chi amiamo metta a repentaglio i rapporti e noi stessi.

Queste sono solo alcune delle possibili credenze inconsce che sono alla base degli attacchi di panico e dell’ansia patologica in generale. La psicoterapia serve ad individuare queste credenze, chiarendo come si sono formate e intervenendo per cambiarle o mitigarle.

Ci sono alcune situazioni che tendono a far emergere gli attacchi di panico perché vanno a stimolare quelle credenze e i conflitti inconsci che generano. Alcune situazioni di vita slatentizzassero problematiche e conflitti psicologici che erano già presenti ma non si vedevano. Ecco i principali eventi di vita che fanno emergere il panico:

  • stress relazionale ( es: rottura di un rapporto sentimentale)
  • andare a vivere da soli
  • rapporti difficili con un collega o con un capo
  • troppe cose da fare in una giornata
  • incidenti
  • morte di un genitore o di un parente
  • malattie fisiche
  • problemi finanziari
  • promozione o licenziamento

Conclusioni

A tutti prima o poi nella vita capiterà di avere un attacco di panico; è un’esperienza assolutamente normale anche se spaventosa. Se però succede spesso allora è meglio intervenire. Può infatti essere un’occasione unica di crescita personale per migliorare la propria qualità di vita e diventare anche più se stessi e liberi di prima.

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Narcisismo patologico: il problema fondamentale è l’autostima. Qual è l’atteggiamento migliore per affrontare il narcisista.

Nel video – articolo di oggi vado ad affrontare il problema principale del narcisismo patologico: l’autostima. Spiego inoltre qual è secondo me l’atteggiamento migliore per relazionarsi con un narcisista, sia che si tratti di un narcisista manipolatore che di una persona con tratti narcisistici.

SIGNIFICATO DI NARCISISMO

Ma qual è il significato di narcisismo? Possiamo definire il narcisismo come il bisogno inconscio di proteggere la propria autostima.

Partiamo con un piccolo ripasso: che cosa si intende per personalità narcisistica? Il narcisismo patologico è caratterizzato da tre principali aspetti:

1) grandiosità: consiste nel bisogno di sentirsi unici, speciali, inarrivabili, migliori, perfetti, non criticabili;

2) bisogno di ammirazione: chi ha una personalità narcisistica ha bisogno di sentire ammirazione provenire dallo sguardo altrui e di essere sempre al centro dell’attenzione;

3) mancanza di empatia: consiste nella difficoltà di mettersi nei panni degli altri e di capire l’effetto che hanno le proprie azioni e comportamenti, perché si è concentrati quasi esclusivamente sui propri bisogni, fino ad arrivare allo sfruttamento e alla manipolazione.

Narcisismo patologico
Narcisismo patologico

NARCISISMO PATOLOGICO: TIPI DI NARCISISMO

Esistono due principali tipi di narcisismo patologico: il narcisismo “overt” e il narcisismo “covert”. Andiamo ora a vedere più nel dettaglio i profili affetti da queste tipologie di narcisismo.

TIPI DI NARCISISMO: NARCISISMO OVERT

Il narcisista “overt” è quello apertamente grandioso, arrogante, sfruttatore, in modo visibile, palese, probabilmente il tipo di narcisista più diffuso e più facilmente riconoscibile.

TIPI DI NARCISISMO: NARCISISMO COVERT

Il narcisista “covert” (tradotto in italiano con “coperto”) si mostra apparentemente come una persona fragile, timida, introversa, bisognosa, ma in realtà con una frequentazione più assidua e attenta, si ci accorge che la persona affetta dal narcisismo covert è focalizzata principalmente sui propri bisogni, scarsamente empatica, e tende spesso ad assumere il ruolo della vittima, manipolando gli altri al fine di ottenere da loro attenzioni e la soddisfazione dei propri bisogni, sfruttando spesso il ricatto emotivo e il senso di colpa.

Il narcisismo covert è spesso più difficile da individuare perché più subdolo, nascosto da un apparente atteggiamento dimesso; si “aggancia” a livello relazionale soprattutto a persone che hanno un forte bisogno di occuparsi degli altri, perché si sentono facilmente in colpa se non lo fanno (la così detta “sindrome dell’infermiera/e”) e facendosi vampirizzare, manipolare, arrivando a strutturare rapporti di dipendenza emotiva con il narcisista.

NARCISISMO PATOLOGICO: CAUSE

Freud e la psicoanalisi ci hanno insegnato che la personalità narcisistica ha un problema fondamentale: la scarsa autostima. La lotta principale che il narcisista si trova ad affrontare ogni giorno è una sola: mantenere in piedi la propria autostima, intesa come l’insieme di giudizi che ognuno di noi ha riguardo sé stesso.

Tutto ciò può suonare strano perché i narcisisti spesso, soprattutto i narcisisti overt, si mostrano spavaldi e arroganti. In realtà questo è una tecnica che utilizzano per proteggersi dalla possibilità di sentirsi sbagliati e inadeguati, inferiori, deboli, di essere rifiutati.

NARCISISMO PATOLOGICO: MONDO ESTERNO E VERGOGNA

Il problema non è tanto il rapporto con sé stessi o con i propri valori e nemmeno una eccessiva severità con sé stessi, ma si tratta di un problema con il mondo esterno, cioè su come gli altri possono giudicarlo.

Infatti, per i narcisisti non si parla di senso di colpa ma di vergogna. Cosa significa esattamente provare senso di vergogna? Il narcisista teme il giudizio dell’altro su di lui e non il giudizio di sé stesso dato da sè stesso, che genera invece senso di colpa nelle persone normalmente nevrotiche, che sono fortunatamente ancora la maggioranza.

Ecco perché le persone con un’organizzazione di personalità narcisistica in psicoterapia raccontano di un loro senso di vuoto interiore, perché è tutto spostato verso l’esterno, verso l’approvazione, mentre in chi soffre ad esempio di ansia di origine nevrotica il problema sta nell’eccessiva severità che rivolgono verso sé stessi.

NARCISISMO PATOLOGICO: IL DRAMMA DEL FALSO SE

Il dramma del narcisista è che ha imparato sin da piccolo che è fondamentale apparire infallibile, perfetto, forte, speciale, non mostrare mai un segno di debolezza. Quindi sin da piccolo il narcisista si è trovato a dover apparire, anche se questo significa mostrarsi completamente diversi da come si è in realtà.

In psicologia si dice che ha sviluppato un “falso Se”, cioè una sorta di maschera che è stato costretto ad indossare per essere stimato, apprezzato e accettato, soprattutto dalla sua famiglia di origine.

I bambini destinati a diventare narcisisti hanno, in realtà, una triste storia familiare dove non sono stati incoraggiati ad esprimere liberamente se stessi e a realizzare i propri desideri e bisogni, ma sono stati spinti in modo più o meno diretto a identificarsi con le aspettative familiari, a soddisfare i bisogni emotivi dei genitori, sopprimendo man mano il proprio “vero Se”.

Questo è valido per ogni persona: per crescere in modo sereno e diventare un adulto felice, è necessario che da bambino qualcuno lo aiuti davvero a capire chi è ed a trovare la strada giusta per potersi esprimersi liberamente, senza sentirsi obbligato ad apparire.

FREUD E IL NARCISISMO

Ricordiamoci comunque, come Freud ci ha insegnato, che in realtà tutti noi possediamo una quota più o meno piccola di narcisismo ed è importante averla, perché contribuisce alla cura della presentazione di noi stessi su come ci presentiamo al mondo esterno.

Il narcisista patologico in realtà soffre e soffre tanto. Lui stesso è una vittima del narcisismo. Infatti, non si nasce narcisisti ma si viene allevati in questo modo dalla famiglia di origine e dalla società.

Ovviamente dobbiamo difenderci dalle manipolazioni che spesso il narcisista mette in atto per raggirarci facendoci fare quello che vuole e salvare così la sua autostima, ma dobbiamo anche capire che è sbagliato dividere il mondo tra buoni e cattivi perché questo atteggiamento porta solo a divisioni e conflitti senza senso.

È importante capire qualcuno e i suoi errori, senza per forza giustificarlo; ma capire ci aiuta a non riempirci di rabbia quando subiamo o abbiamo subito dei maltrattamenti da un narcisista e ci porta a superare in maniera più facile e veloce queste situazioni. La rabbia ci tiene legati al passato e all’illusione di poter cambiare qualcuno che non vuole o non sa cambiare; invece è importante utilizzare la rabbia per trasformarla in assertività ed energia per realizzarci nella vita.

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Musicoterapia: quando diventa psicoterapia?

Ciao! Nel video-articolo di oggi ti descrivo come è possibile utilizzare la musicoterapia per farla diventare una vera e propria psicoterapia (solo nel momento in cui a condurre un’attività di questo tipo è uno psicologo psicoterapeuta).

Musicoterapia: come diventa psicoterapia?

Introduzione

Nel mio canale puoi trovare una playlist dedicata alla musicoterapia. Chi mi segue da un po’ sa che nel mio lavoro di psicoterapeuta spesso integro anche l’utilizzo della musicoterapia. Potete trovare tutta una serie di video su una playlist apposita, dove spiego in cosa consiste la musicoterapia e quali sono le diverse tipologie di musicoterapia.

Musicoterapia: che cos’è?

La musicoterapia è un insieme di teorie e tecniche finalizzate ad utilizzare la musica per promuovere effetti benefici, curativi e terapeutici.

Ricordo qui brevemente che esistono due tipi di musicoterapia: esiste la musicoterapia attiva che utilizza strumenti musicali che non richiedono una formazione musicale specifica come metallofoni, xilofoni, cordofoni, ma che possono essere suonati in maniera spontanea, istintiva.

Invece la musicoterapia recettiva si basa sull’ascolto di musica preregistrata, e si va poi a lavorare sugli effetti che questa musica ha sulla psiche a livello di immagini, di sensazioni, di emozioni o ricordi.

In questo video-articolo mi concentrerò maggiormente sugli effetti terapeutici della musicoterapia. Quindi come fa la musicoterapia a diventare terapeutica?

Musicoterapia e psicoterapia

Le cose che ti racconterò in questo video-articolo riguardano molto il mio personale modo di approcciarmi alla musicoterapia, e soprattutto pesa il fatto che io ho anche una formazione da psicologo e psicoterapeuta.

Nel mio lavoro utilizzo la musicoterapia appunto in senso psicoterapeutico. Nei prossimi paragrafi ti descriverò i principali elementi che, se bene utilizzati, possono trasformare un’attività di musicoterapia in una vera e propria psicoterapia.

1) Conoscere la storia di vita

Il primo elemento essenziale è quello di conoscere la storia, sia umana che clinica, della persona che chiede un aiuto. Ciò permette di capire bene come è organizzata la sua psiche, quali sono i suoi meccanismi di difesa, qual è il “mondo” da cui proviene.

E’ così possibile costruire un intervento su quella persona, un intervento personalizzato e non un protocollo uguale per tutti.

E’ molto utile svolgere un’anamnesi sonoro musicale chiedendo quali sono i generi musicali che preferisce, qual è la musica che di solto ascolta durante la sua giornata o che musica ascolta in base ai momenti della giornata e soprattutto che effetto ha questa musica su corpo e la mente.

Si cerca anche di capire se conosce la musica, se suona qualche strumento musicale, se ha una formazione musicale, anche se per fare un’attività di musicoterapia non è assolutamente necessario avere delle competenze musicali e saper suonare uno strumento.

Infatti la musicoterapia ha come finalità principale quella di aprire canali di comunicazione e sviluppare la creatività e la spontaneità.

Come conduttore è importante avere delle conoscenze di psicopatologia, per cercare di capire quella persona com’ è organizzata a livello psichico. Già questo aspetto diventa terapeutico perché permette alla persona di conoscere maggiormente se stesso/se stessa, di avere una maggiore consapevolezza.

Questa prima fase di conoscenza, se fatta bene, ha sicuramente un impatto trasformativo perché diventa autoconsapevolezza, e la conoscenza di sé è l’aspetto principale per poter poi fare dei cambiamenti nella propria vita o comunque per raggiungere un maggior benessere.

Entro ora nello specifico della musicoterapia attiva e recettiva per descrivere quali sono gli aspetti terapeutici.

2) La musicoterapia attiva

Nella musicoterapia attiva è importante cercare di capire che tipo di strumenti sceglie la persona durante la sessione di musicoterapia; come utilizza questi strumenti? Anche osservare questo aspetto è importante, osservare in che modo la persona si relaziona con questi strumenti e con gli altri elementi del gruppo (se si sta facendo un’attività gruppale) oppure con il conduttore.

In base a queste osservazioni si possono scegliere e proporre attività diverse.

Se ad esempio una persona tende molto al ritiro sociale magari perché è molto timida, per agire terapeuticamente potrò cercare di dialogare maggiormente con questa persona attraverso un altro strumento musicale durante un’improvvisazione, oppure potrei incoraggiarla, se tende ad isolarsi ad esempio in un gruppo, a entrare maggiormente nel gruppo e dialogare a livello musicale con gli altri.

Spesso è fondamentale cercare di introdurre delle variazioni. Quindi fargli vedere un modo diverso per poter entrare in relazione in modo più funzionale.

Un’ altra tecnica che spesso viene utilizzata è il rispecchiamento, cioè si suona insieme e il conduttore riproduce i suoni, i ritmi, i volumi che la persona sta utilizzando, come se fosse di fronte ad uno specchio, per favorire l’ autoconsapevolezza.

3) La musicoterapia recettiva

Per quanto concerne la musicoterapia recettiva di solito si fa un lavoro di conoscenza dei vari generi musicali, quindi si cerca di esplorare col il soggetto i vari tipi di strumenti musicali, vari tipi di melodie, di arrangiamenti e di stili anche per vedere che effetto hanno sulla persona.

E’ importante osservare come ciascuno si relaziona con i brani musicali ascoltati, quali brani musicali sceglie a seconda del periodo specifico della propria vita, che effetto hanno su di sé. Come terapeuti si può intervenire proponendo dei brani musicali che possono avere un effetto curativo in quel momento.

Infatti il musicoterapeuta formato nel metodo recettivo sa quali effetti hanno diversi tipi di suoni e frequenze sulla psiche e sul corpo.

Se una persona ha bisogno di sollevare il proprio umore si cerca di utilizzare dei brani che abbiano questo tipo di funzione. Oppure se una persona ha bisogno di “sciogliersi” rispetto alla relazione, di entrare maggiormente in relazione, allora si cerca di utilizzare brani dove c’è questa componente relazionale; ad esempio utilizzando brani musicali dove ci sono più strumenti musicali che dialogano tra di loro.

Spesso si cerca di perturbare un po’ l’equilibrio di quella persona, se ci si rende conto che è un equilibrio malsano. Si cerca insomma di portarlo fuori dalla cosiddetta “zona di confort”, soprattutto se è fonte di sofferenza.

4) La musicoterapia e le difese della razionalità

Volevo ancora sottolineare un aspetto: una delle grandi potenzialità che ha la musicoterapia è che “bypassa” il controllo del linguaggio verbale, della razionalità. Spesso ci sono persone che a livello razionale non riescono a modificare aspetti della propria psiche perché troppo difesi dalla razionalità. Invece i mediatori artistici, tra cui appunto la musica, hanno questo enorme potere di riuscire a superare queste barriere, queste difese e arrivare su dei nuclei più autentici.

La musica arriva in maniera meno mediata, più diretta, sull’emotività permettendo un’espressione più naturale e autentica di ciò che ognuno di noi è.

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Dott. Michele Verrastro (Psicologo-Psicoterapeuta-Musicoterapeuta)

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Senso di colpa: come gestirlo (Video n.1)

Ciao a tutti! In questo video articolo torno a parlare di senso di colpa, vi spiegherò in cosa consiste, come distinguerlo dalla vergogna, quando è sano sentirsi in colpa e quando diventa malsano e dannoso per la nostra salute mentale e fisica.

Differenza tra senso di colpa e vergona

Voglio iniziare cercando di distinguere tra senso di colpa e vergogna; infatti a volte vengono confusi ma sono due cose ben diverse.  

Senso di colpa

Vergogna: che cos’ è?

La vergogna è una sensazione spiacevole, un turbamento interiore accompagnato da emozioni come tristezza e paura, che sperimentiamo quando abbiamo infranto una regola morale o sociale e siamo stati scoperti; ad esempio potrei provare vergogna nel dire al mio vicino di casa che ho perso il lavoro. Infatti si può dire che la vergogna ha una natura più narcisistica perché ha a che fare con lo sguardo degli altri.

Senso di colpa: sintomi

Il senso di colpa mi manifesta sempre con un turbamento interiore più o meno profondo, con sensazioni spiacevoli ed emozioni come paura, rabbia, tristezza derivate da un atto mancato o compiuto che ci fa sentire di aver violato una nostra regola etica o morale e si manifesta anche se nessuno ci vede o sa di questa violazione (ad esempio se vado molto veloce in macchina e provoco un incidente attraversando un incrocio con il semaforo rosso, mi sentirò in colpa). Il senso di colpa genera sensazioni e pensieri di rimorso, rimpianto che creano una tensione interna. Si possono associare sintomi come mal di testa, dolori allo stomaco, ansia, insonnia. In casi più estremi può portare a forme di autopunizione.

Ci sentiamo invasi da una sensazione spiacevole e rivolgiamo verso di noi accuse e giudizi severi che ci fanno stare male; Se il senso di colpa è molto intenso ci sentiamo totalmente invasi da quelle sensazioni, immersi, sovrastati, schiacciati, il pensiero torna sempre su quell’evento o situazione che ci tortura.

Senso di colpa sano

Ma il senso di colpa è sempre inutile o patologico? No, infatti per poter vivere in società abbiamo bisogno di condividere delle regole morali, che ci permettono di mantenere un certo ordine e evitare quindi il caos.

Il fatto di possedere dentro di noi delle regole che ci sono state insegnate dalla nostra famiglia e dalla società in cui viviamo ci permette di regolare il nostro comportamento e le relazioni. Se ad esempio, nell’esempio che ho fatto prima, ho causato un incidente con la mia macchina infrangendo delle regole del codice stradale è giusto che io provi un senso di colpa e che quindi intervenga per aiutare o rimediare quando è possibile.

Esiste quindi un senso di colpa sano che funziona come un autoregolatore interno; in questo caso sarebbe più giusto parlare di senso di responsabilità. Infatti nella nostra cultura il termine colpa si è intriso di un significato più generale e spirituale che deriva anche dai valori religiosi soprattutto di origine cattolica. In alcune persone infrangere una regola morale viene spesso associata alla punizione divina o comunque ad una profonda sensazione di essere sbagliati come persone, quindi di un giudizio negativo verso noi stessi che diventa globale.

Dall’altra parte anche l’assenza totale di senso di colpa diventa quindi un indicatore di malessere psicologico.

Senso di colpa patologico

Ma invece quando il senso di colpa può diventare eccessivo e patologico? Se nel soggetto c’è una eccessiva tendenza a responsabilizzarsi per ciò che accade fuori di lui o per le emozioni che prova o i pensieri che pensa  si può parlare di senso di colpa patologico.

La persona in questione sarà continuamente tormentata da rimorsi, ansia, pensieri ossessivi e intrusivi perché tenderà ad esagerare il proprio ruolo e responsabilità in quello che gli accade, fuori e dentro di lui o lei. Non riuscirà quindi più a distinguere il sano egoismo dal comportamento etico e morale sbagliato. Inoltre questo meccanismo di colpevolizzazione avverrà in modo automatico, inconscio, cioè al di la della volontà del soggetto.

Alcune persone si sentono in colpa in modo intenso e duraturo anche solo per aver pensato o desiderato qualcosa che ritengono moralmente sbagliato; questo è indice di una rigidità nella parte inconscia della nostra mente dove sono contenute le varie regole morali e insegnamenti ricevuti nell’infanzia e da ognuno di noi poi interiorizzati; Freud ha definito questa struttura il super io; ecco quando il super io è troppo rigido  è come se dentro di noi ci fosse un giudice molto severo e pronto a puntarci il dito e punirci.

Come nascono i sensi di colpa?

Ma da dove arriva questa tendenza a sentirsi eccessivamente responsabili? L’origine è sempre da ricercarsi nell’infanzia e nelle relazioni con i genitori o le principali figure di accudimento.

Provo a fare un esempio: se  da bambino sono stato giudicato, colpevolizzato ogni volta che mi allontanavo da mia madre per esplorare in modo sano e legittimo l’ambiente ecco che da adulto potrei sentirmi in colpa quando cerco la mia autonomia.

Oppure se da piccolo mi sono convinto che dovevo essere io con i miei comportamenti a rendere felici mamma e papà ecco che da adulto potrei  avere difficoltà a dire di no in modo sano alle richieste eccessive di aiuto che mi potranno arrivare, tendendo sempre a sacrificare i miei bisogni per quelli degli altri.

In psicoterapia si ripercorrono le relazioni familiari, le dinamiche, cioè il modo in cui si comunicava e le aspettative che abbiamo avvertito su di noi fin da bambini per capire da dove nascono i sensi di colpa patologici.

Come dicevo prima, fino ad un certo livello è sano e giusto che proviamo sensi di colpa. I

l problema è quando questa sensazione diventa pervasiva e ci condiziona eccessivamente la vita fino a auto-sabotarci e a privarci di esperienze positive perché non riusciamo a sviluppare il sano egoismo che è essenziale per essere felici.  

Solo quindi ripercorrendo in psicoterapia le varie epoche della nostra vita potremo diventare coscienti di come ci siamo formati delle credenze su noi stessi e sul mondo che diventano patogene, e di come in modo inconscio hanno spesso governato la nostra vita. Impareremo inoltre ad accettarci pienamente per quello che siamo e per i nostri bisogni imparando a distinguerli da quelli che ci sono stati imposti dalla famiglia o dalla società, diventando quindi più liberi.

Primo esercizio: come ridurre il senso di colpa “nevrotico”

Un primo esercizio che tutti possiamo fare e quello di prendere per un attimo distanza dai nostri sensi di colpa per capire se sono ragionevoli o meno; proviamo a scrivere ciò che ci tormenta e proviamo poi a rileggerlo come se a raccontarlo fosse un nostro amico, quindi cercando di operare un distacco emotivo. Ora chiediamoci se quelle parole scritte ci fanno lo stesso effetto. Se ce le raccontasse un nostro amico ci sentiremmo di condannare totalmente quella persona? Qual è il reale ruolo che il nostro amico ha in quello che ci racconta? E’ veramente e unicamente sua responsabilità ciò che è successo?

Conclusioni

Senso di colpa e vergogna sono due sensazioni differenti. Esiste un senso di colpa sano e uno patologico. In psicoterapia si comprende l’origine del senso di colpa e come ci condiziona nella vita di tutti i giorni; questo ci permette di sentirci finalmente più liberi e felici.

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Narcisista covert: come affrontarlo con assertività. Consigli pratici.

Introduzione

Narcisista covert : come affrontarlo con assertività. Consigli pratici. Ciao! Nel video – articolo di oggi ti parlerò di una tipologia specifica di Narcisismo, il narcisismo covert. Ti spiegherò quali sono le principali caratteristiche di questo tipo di narcisismo e come affrontarlo.

Narcisista covert

Siamo abituati a pensare al narcisista, uomo o donna che sia, come ad una persona piena di sé, arrogante, grandiosa nei modi e nelle espressioni, sempre pronta a glorificare se stesso e le proprie imprese. E’ estroverso e ama stare al centro della scena. Vuole essere ammirato, adorato, ha un eccessivo bisogno di ammirazione e mancanza di empatia. Questa tipologia più classica, viene definita narcisismo “overt”.

Ma esiste anche una tipologia di narcisismo viene definita “covert”, (termine inglese che significa nascosto), che si comporta in maniera opposta, cioè appare timido, riservato, introverso. Ha molta paura del giudizio e del rifiuto  per questo spesso evita le relazioni sociali. Come ho spiegato in un video precedente in entrambe le tipologie di narcisismo c’è sempre un’ autostima fragile, solo che nel modello più classico viene coperta con questo atteggiamento grandioso, mentre nel covert il soggetto cerca di evitare tutte quelle situazioni dove la sua autostima potrebbe essere in pericolo.

Patisce molto la critica e cerca di evitare ogni tipo di confronto con l’altro, è alla ricerca costante di approvazione e di sentirsi unico e speciale. Se non riceve l’attenzione che pretende può diventare anche molto aggressivo, anche se a volte lo fa in modo passivo, attraverso il silenzio e il broncio. Anche qui sono presenti fantasie di grandiosità, solo che sono nascoste da un atteggiamento apparentemente umile timido, modesto. Riferisce di provare molta ansia e a volte sono presenti episodi di attacchi di panico.

Narcisista covert nelle relazioni

Spesso si presentano come artisti sensibili o intellettuali. Se si osservano bene nei rapporti in realtà spesso sfruttano gli altri, con un atteggiamento passivo, bisognoso dove in realtà l’altro viene manipolato attraverso il senso di colpa.

Nella relazioni poco alla volta si apre all’altro, ma si presenta come sfortunata, sofferente, per spingere e manipolare l’altro. Utilizza molto il vittimismo per spingere gli altri a fare quello che vuole lui o lei. E’ molto cetrato in realtà su di sé e suoi suoi bisogni e dimostra scarsa empatia. Infatti se l’altro fa delle richieste il narcisista covert in realtà si rifiuta colpevolizzandolo ulteriormente poiché è lui quello bisognoso.

Narcisista covert: come affrontarlo?

Come affrontare il narcisista covert? Anche in questo caso l’assertività ci viene in aiuto! Ecco alcuni consigli pratici:

  1. Come ho spiegato nei diversi video che troverete nella playlist dedicata all’assertività, dobbiamo sempre stare molto attenti a non farci manipolare dai sensi di colpa. Questi individui spesso utilizzano il senso di colpa per poterci controllare e mantenere legati al loro; ricordiamoci che la colpevolizzazzione può essere utilizzata sia in modo diretto facendoci delle accuse oppure indiretto facendoci sentirci in colpa attraverso il vittimismo.
  2. Diffidiamo di chi non è capace di riconoscere anche il proprio ruolo e le proprie responsabilità nelle cose che gli capitano nella vita. Infatti può capitare che all’inizio di un rapporto qualcuno ci faccia tenerezza quando ci racconta delle proprie sventure e ci può venire voglia di aiutarla. Ma ci dobbiamo sempre chiedere: questa persona cerca attivamente di portare dei cambiamenti nella propria vita? Questa persona cerca di chiedersi in che modo ha contribuito a trovarsi nelle situazioni di difficoltà che ci racconta?
  3. Ricordiamoci che nei rapporti è fondamentale la reciprocità: dobbiamo dare quanto riceviamo e ricevere almeno quanto diamo.

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Fiducia in se stessi: come aumentarla.

Introduzione

Fiducia in se stessi. Come svilupparla? In questo video – articolo ti voglio parlare di un argomento strettamente correlato all’ autostima e cioè la fiducia in se stessi. Ti descriverò in cosa consiste e da dove nasce. Lo sapevi che l’atteggiamento che hai verso te stesso/a è più importante del saper fare praticamente qualcosa? Vedremo come alcune persone hanno dei sensi di colpa inconsci che non gli permettono di sviluppare una sana fiducia in se stessi. Al termine del video – articolo troverete quattro consigli pratici che possono essere utili in questo caso.

Fiducia in se stessi e atteggiamento mentale

Se ci pensiamo bene, l’atteggiamento mentale che mettiamo prima di fare qualcosa e più importante della cosa in se da fare…  le convinzioni consce o inconsce che abbiamo su di noi sono più importanti del fatto di saper fare realmente.

Vi faccio un esempio molto banalmente: se io non ho la fiducia di poter piantare un chiodo nel muro non avendolo mai fatto non mi ci metterò nemmeno, se invece dentro di me c’è come una vocina che mi rassicura e mi dice che posso farcela allora mi metterò a farlo, magari sbaglierò, farò un lavoro impreciso ma lo porterò a termine.

Quella vocina è spesso il frutto dell’educazione che ho avuto e delle esperienze di successi o fallimenti che ho accumulato nella mia vita! Quindi quello che pensiamo di noi stessi è in realtà più importante di tutto il resto, perché poi la pratica arriva!!

La fiducia in se stessi è innata o si costruisce?

La fiducia in se stessi non è qualcosa che ci viene data alla nascita ma fondamentalmente si costruisce e sicuramente le prime esperienze infantili, gli esempi che abbiamo visto in casa sono molto importanti; tutti noi quindi riceviamo in eredità un certo grado di fiducia in noi stessi e nelle nostre capacità, ma la buona notizia è che possiamo migliorarla.

Nel video descrivo il ruolo che hanno le profezie autorealizzanti e come ci possono aiutare o mettere in difficoltà! Infatti se siamo convinti che una certa cosa andrà male allora senza accorgercene metteremo in campo un atteggiamento che la farà andare male! Questa non è magia, alcuni la chiamano la legge dell’attrazione, ma in realtà è un meccanismo psicologico ormai bene conosciuto e studiato.

Ma perché succede tutto questo? Alcune volte l’ostacolo principale allo sviluppo di una buona fiducia in se stessi è lo scoraggiamento che spesso arriva dall’aver fallito in qualcosa. Altre persone hanno poco fiducia in sé per ragioni legate alla propria vita infantili; la ricerca psicologica ha capito che (a causa di una serie di traumi infantili) a livello inconscio molti si sentono in colpa nel tentativo di raggiungere i propri scopi e obiettivi e per questo mettono in piedi una serie di atteggiamenti inconsci per auto-sabotarsi. In questo senso la psicoterapia può essere molto utile per individuare quali sono questi freni emotivi e credenze inconsce che ci ostacolano.

Fiducia in se stessi: 4 consigli pratici per aumentarla.

Al termine del video troverete 4 consigli pratici per aumentare la fiducia in se stessi (guarda il video per la spiegazione):

 1) cerca un mentore:

confrontati con chi ha già raggiunto l’obiettivo che vuoi raggiungere per sapere quali sono stati i passi che ha dovuto fare; spesso non lo facciamo perché pensiamo che non avranno voglia di farlo o che daremo fastidio ma in realtà le persone in media hanno voglia di raccontare come hanno fatto a raggiungere la loro meta.

2) cerca di visualizzare te stesso con il risultato già ottenuto:

visualizza te stesso come se fossi già arrivato alla tua meta, come ti comporteresti? Come ti sentiresti?

3) ragionare per piccoli obiettivi facilmente raggiungibili:

prova a suddividere gli obiettivi più grandi in piccoli obiettivi più facilmente raggiungibili e che ti mettono meno ansia.

4) rivolgiti ad uno psicologo psicoterapeuta:

può essere utile decidere di farsi aiutare con una psicoterapia per capire quali specifiche esperienze del passato ancora ti condizionano, quali credenze o sensi di colpa inconsci ti bloccano dalla possibilità di realizzare in pieno il tuo potenziale.

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