Psicologo torino per ansia, attacchi di panico, autostima, depressione, difficoltà relazionali. Supporto psicologico e psicoterapia in studio e online su Skype e WhatsApp.
Nel mio lavoro di psicologo a Torino utilizzo la musicoterapia come modo per superare i momenti di blocco e difficoltà che possono emergere durante un percorso psicologico. Infatti l’utilizzo di “mediatori” come l’arte o la musica permettono di bypassare le difese della razionalità per giungere più facilmente alle emozioni sottostanti.
Sono convinto che ogni bravo psicologo deve possedere una serie di tecniche adatte alle diverse fasi di una terapia.
Che cos’è allora la musicoterapia? Come possiamo definirla? In quali ambiti viene più usata?
In questo breve video introduttivo cercherò di rispondere a queste domande.
Musicoterapia: breve storia
La musica come cura ha una storia antica. Già nell’antica Grecia filosofi come Platone, Aristotele e Pitagora cercarono di studiare gli effetti della musica sull’uomo.
Nella prima metà del 1700 un medico e musicista inglese scrisse un libro sugli effetti della musica sul corpo e la psiche umane diventando il primo studioso a indagare gli effetti della musica in senso musicoterapico.
Nei primi anni del 1800 la musicoterapia iniziò ad essere utilizzata in Francia con pazienti sofferenti di patologie psichiatriche. Infatti negli ospedali venivano organizzate delle vere e proprie sedute di musicoterapia dove ai pazienti veniva fatta ascoltare della musica attraverso un grammofono.
Il primo corso universitario di musicoterapia fu organizzato nel 1919 negli Stati Uniti presso la Columbia University; mentre il primo corso di specializzazione quadriennale in musicoterapia risale al 1944 (Stati Uniti).
Possiamo definire la musicoterapia come un’insieme di teorie e tecniche finalizzate a studiare gli effetti del suono e della musica sull’essere umano, sia da un punto di vista psichico che fisico. E’ possibile utilizzare la musicoterapia in ambito Animativo, Preventivo-Riabilitativo e Terapeutico.
Esistono due tipi principali di musicoterapia:
musicoterapia attiva: utilizza strumenti musicali che non richiedono capacità tecniche specifiche ma possono essere suonati in modo spontaneo.
musicoterapia recettiva: si basa sull’ascolto di brani musicali registrati e si lavora sulle emozioni, sensazioni ed immagini emerse.
A partire dalla metà del 1900 sono stati pubblicati tanti studi sull’efficacia della musicoterapia e grazie a ciò questa disciplina si è molto diffusa in tanti campi; alcuni dei campi attualmente più studiati sono: gravidanza, alzheimer, disturbi mentali, benessere psicofisico, cure palliative.
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Il 2 marzo 2019 io e la collega dott. ssa Marina Annunziata condurremo un workshop esperienziale durante il quale verranno proposte diverse attività finalizzate alla gestione e cura dell’ansia e dello stress. Una giornata intera dedicata al benessere psicofisico!!
utilizzeremo tecniche efficaci per gestire l’ansia e lo stress!!
Ecco la presentazione ed i dettagli:
“STACCA LA SPINA E RITROVA IL BENESSERE con il metodo M.M.I.E. (Musicoterapia Mindfulness-Intelligenza Emotiva)”
Durante il workshop (della durata di 8 ore) io e la dott.ssa Marina Annunziata (esperta in Mindfulness Based Therapy e Tecniche di Intelligenza Emotiva) proporremo una serie di attività pratiche finalizzate a produrre benessere psicofisico.
Sarà rivolto ad un piccolo gruppo di massimo 12 persone proprio per assicurare attenzione ed ascolto di qualità per tutti.
Quindi se siete interessati affrettatevi a prenotare il vostro posto!!
Il costo sarà di 80€ per un’intera giornata di attività (dalle 9.00 alle 18.00).
Dove: il workshop si terrà presso il centro ANMA in via Cibrario 14 Torino.
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Chi di noi non l’ha mai provata? Magari prima di un impegno di lavoro importante o prima di un esame…. Spesso cerchiamo dei rimedi per l’ansia, ma è prima importante cercare di capire cos’è . Cerchi uno psicologo a Torino per l’ansia?
Ho pensato di pubblicare una serie di articoli su questo tema per cercare di fare chiarezza su cosa realmente sia l’ansia e fornire alcuni strumenti pratici per gestirla che utilizzo nel mio lavoro di psicologo a Torino.
E’ prima di tutto necessario distinguere tra paura e ansia; nel linguaggio comune vengono spesso usati come sinonimi ma non è così….
La paura
E’ una delle sei emozioni primarie, insieme a rabbia-disgusto-sorpresa-gioia-tristezza; come tale è quindi “scritta” nel nostro codice genetico ed è una risposta automatica ed istintiva a pericoli reali che possono mettere a rischio la nostra sopravvivenza.
La natura ci ha donato questa emozione per aumentare le nostre probabilità di sopravvivenza: se ad esempio incontro un animale pericoloso come un serpente o un leone la paura mette in allarme il mio Sistema Nervoso Autonomo preparandomi ad una reazione, che sarà quindi fisiologica, naturale e spontanea.
Ma anche se viviamo in una città la paura è utile: ad esempio se attraverso una strada e improvvisamente mi accorgo di una macchina che mi viene incontro la paura mi farà aumentare il passo o retrocedere per salvarmi la vita!
Questa emozione attiva principalmente tre tipi di comportamenti “automatici” che condividiamo con il mondo animale.
Le tre reazioni automatiche alla paura
Attacco: il nostro organismo si prepara al combattimento grazie alla produzione di sostanze come l’adrenalina e altri ormoni dello stress, aumenta la frequenza dei battiti cardiaci ed il respiro si fa più profondo e veloce aumentando la quantità di ossigeno nel sangue che apporta così più zuccheri nei muscoli delle gambe e delle braccia .
Fuga: in questo caso l’attivazione fisiologica generale del Sistema Nervoso Autonomo descritta sopra viene utilizzata per allontanarsi dallo stimolo, poiché il nostro cervello ha fatto una veloce valutazione e concluso che è più conveniente non combatterlo ma allontanarsi da esso (esempio: se incontro nella foresta un predatore il comportamento più efficace da utilizzare è spesso quello di allontanarsi).
Congelamento: alcuni animali quando incontrano un predatore fanno finta di essere morti o si immobilizzano sperando di non essere visti; anche a noi umani può succedere di immobilizzarci difronte ad un pericolo.
Come è facile intuire la paura deriva da uno stimolo REALE che può essere visivo, olfattivo, tattile, uditivo. Le nostre reazioni fisiologiche ci legano quindi al mondo animale e sono principalmente collegate all’amigdala che regola le emozioni primarie.
Ma l’essere umano può provare paura anche in situazioni dove oggettivamente non è a rischio la nostra sopravvivenza fisica (un’ interrogazione a scuola, un colloquio di lavoro, un primo appuntamento con una persona che ci piace, ecc..)
Questa tipologia di paure può diventare così intensa ed invalidante da trasformarsi in patologia.
Paure di questo tipo vengono definite fobie: ce ne sono di tantissimi tipi, da quella per i piccioni a quella per l’aereo e creano una reazione di paura sproporzionata rispetto all’entità dello stimolo. Ciò succede perché il cervello umano è in grado di apprendere e formarsi delle paure specifiche (dette appunto fobie specifiche) che in realtà sono prive di razionalità oggettiva.
L’ansia
E’ una complessa combinazione di emozioni che includono paura, apprensione, preoccupazione, abbinata a sensazioni fisiche come palpitazioni, dolori al petto, respiro corto, nausea, tremori e fantasie anticipatorie.
Si distingue quindi dalla paura perché è più vaga, aspecifica e può derivare o da un pericolo percepito (es: ” se fallisco questo esame universitario la mia vita è finita!”) oppure da un conflitto interiore ( es: ” se mi permetto di esprimere la rabbia le persone intorno a me soffriranno” ).
E’ importante questa distinzione perché i rimedi per l’ansia saranno diversi a seconda che l’origine sia “interna” alla psiche dell’individuo o esterna.
E’ importante chiarire fin da subito che l’ansia è utile e adattiva!! Questa frase può sembrare contro intuitiva, ma è proprio così! L’ansia infatti ci aiuta a riconoscere una situazione potenzialmente dannosa per noi.
Esempio
Immaginiamo una situazione lavorativa dove a causa del taglio del personale rischio di perdere il lavoro necessario per pagare l’affitto e comprare il cibo; provare ansia in questo caso mi attiverà per trovare delle strategie di intervento, come ad esempio parlare con il mio capo, cercare di esaltare maggiormente le mie competenza, modificare dei comportamenti che possono danneggiarmi come ad esempio essere poco collaborativo con i colleghi.
Psicologo Torino Ansia: esercizi pratici
Come psicologo a Torino spesso aiuto i miei pazienti a gestire l’ansia. Elenco qui di seguito alcuni esercizi pratici che spero possano essere d’aiuto:
1) Distingui tra ansia e paura: prova a scrivere a mano libera su di un foglio la situazione che ti crea malessere e cerca di capire se c’è un pericolo reale (che determina una giusta reazione di paura) oppure se stai anticipando un pericolo futuro (situazione tipica che genera ansia anticipatoria)
2) rileggi quello che hai scritto e prova a “distaccarti ” per un momento da quello che stai provando; prova cioè a pensare che quello che leggi sia il racconto di una tua amica e analizzalo. Fatti questa domanda: ma in una scala da uno a dieci quanto è reale il pericolo o la situazione descritta e quanto è immaginaria?
3) una volta che hai capito quanto è realistica o immaginaria la situazione descritta prova a farti questa domanda: su cosa posso io realisticamente intervenire? Che cosa invece non dipende da me e dal mio controllo?
4) prova a pensare ad un piano pratico per intervenire su ciò che puoi modificare e mettilo in atto.
5) ora rileggi dal foglio che prima hai scritto tutte quelle parti che invece sono delle anticipazioni esagerate e catastrofiche; prova a scriverle su di un foglio e crea un tuo rito per liberartene! Puoi ad esempio provare a fare in mille pezzi quel foglio (oppure scioglierlo nell’acqua o bruciarlo in sicurezza) facendo intanto dei respiri profondi (se ti va puoi provare la respirazione diafframmatica).
Conclusioni
Quindi per riassumere la paura deriva principalmente da uno stimolo/pericolo reale.
L’ ansia si attiva con uno stimolo percepito di natura prevalentemente soggettivo.
Quindi spesso per trovare dei validi rimedi all’ansia è necessario lavorare in seduta sul vissuto soggettivo , cioè sul modo unico in cui ciascuno di noi vive e dà significato alla realtà.
Bene, per questo primo articolo introduttivo sull’ansia mi fermo qui. Pubblicherò a breve altri articoli su questo argomento.
Cercherò di suggerire alcune tecniche e rimedi pratici per l’ansia.
L’obiettivo sarà ridurre l’ansia in eccesso e gestire quella “fisiologica”, cioè legata e generata inevitabilmente dal nostro vivere quotidiano.
Per info e domande contattami liberamente.
Effettuo interventi di sostegno psicologico e psicoterapia nel mio studio di psicologia a Torino oppure online attraverso Skype e le video chiamate di whatsapp.
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Chiunque si occupi della crescita dei bambini, che siano genitori, educatori, psicologi, insegnati di discipline varie sa che non è per nulla facile trovare il modo di fornire i giusti stimoli, offrire sostegno nei momenti di difficoltà della crescita, cercare di aiutarli a diventare individui sani e realizzati. Osservando la nostra società vediamo tutti i giorni che non è facile crescere dei bambini; abbiamo poco tempo e ci sono tanti stimoli diversi da cui a volte è difficile capire quanto sia bene proteggerli e quanto invece incoraggiarli a sperimentare. Le notizie che sentiamo attraverso i telegiornali spesso ci trasmettono paura rispetto al mondo e ci inducono a temere come sia facile incontrare persone in grado di fare del male a chi invece vogliamo proteggere e confortare. Ma che cosa fare allora? Meglio chiudere i nostri piccoli in gabbie dorate e iperproteggerli? Beh come potrete intuire della domanda secondo me la risposta è no. La risposta è no sopratutto per il bene dei nostri piccoli.
Se parliamo di crescita dei bambini non si può non riflettere sulla principale figura di attaccamento che ci condizionerà per tutta la vita: la madre.
Molto spesso nella mia pratica clinica osservo madri che sono troppo “legate” ai propri figli; capita infatti che a causa di insoddisfazioni personali, professionali ed affettive , tante madri riversano completamente le loro attenzioni sui figli, cercando di ottenere da questo rapporto autostima e di colmare il senso di vuoto esistenziale. La cosa peggiore è quando ciò avviene in modo del tutto inconsapevole; capita spesso di sentire frasi come “….mio figlio/a è molto attaccato a me….per ogni cosa che deve fare chiede la mia presenza…” ; in questi casi quindi il problema viene “spostato” sul bambino che avrebbe una “predisposizione naturale” un “carattere” che lo porta ad aver paura di tutto e a chiedere continuamente l’attenzione materna. Ma chiunque per professione si occupa di osservare il comportamento infantile sa che le cose non stanno proprio così: certo esiste un minimo di predisposizione temperamentale (diciamo genetica) in ciascuno di noi che ci rende più o meno facile l’esplorazione dell’ambiente, ma sta al genitore il compito di incoraggiare il bambino a diventare poco alla volta autonomo e sicuro di sè. Ovviamente il genitore non è “colpevole” di questa tendenza all’ iper-protezione perché spesso a sua volta è un individuo ansioso che è stato educato così o che lo è diventato per alcuni eventi della vita e quindi per questo va aiutato e non colpevolizzato.
Ogni madre infatti dovrebbe aiutare i propri figli ad estendere la propria affettività ed attenzioni al mondo esterno e non solo legare il bambino a sè (Adler, 1931). E’ importante che la madre insegni ai propri figli a cooperare, a sviluppare l’attenzione per gli altri, quello che lo psicoanalista A. Adler chiamò il sentimento sociale. Una madre che si occupa anche del suo mondo relazionale, lavorativo, affettivo con dei pari sarà una madre più soddisfatta e di buon senso ed aiuterà i suoi piccoli a sviluppare la capacità di cooperare con gli altri e non li vizierà. I figli diventano viziati quando sono abituati ad avere il mondo intero che si muove in funzione dei loro bisogni; questo fatto li rende incapaci di sviluppare l’empatia verso i bisogni degli altri e gli renderà molto difficile inserirsi correttamente nella società perchè ogni volta che arriverà un “no” ai dei loro bisogni si sentiranno traditi dal mondo ed arrabbiati con esso. Bambini cresciti in questo modo saranno molto probabilmente degli adulti infelici, soli ed incapaci di cooperare.
E’ importante che ogni madre, dopo che è riuscita a costruire un legame affettivo con il figlio/a riesca a spingerlo verso il padre, limitando il più possibile il vissuto di possesso o gelosia. Dopo di che è importante aiutare il bambino a volgere il suo interesse verso altri coetanei: cuginetti, amici di scuola, coetanei. Quindi il compito di ogni madre è difficile perchè deve essere sia il primo e fondamentale essere degno di fiducia per il figlio ma nello stesso tempo incoraggiarlo ad estendere la sua fiducia verso il mondo esterno. Se non riuscirà a fare questo il bambino cercherà sempre il sostegno della madre e tenderà a respingere con paura gli altri, diventerà quindi un bambino viziato nel senso di cercare in tutti i modi di avere focalizzata su di sé l’attenzione della madre. Spesso, ad esempio, la paura del buio è in realtà una scusa per attirare l’attenzione della madre e trovare il modo per averla vicino a sé; soffrirà ogni volta che viene separato dalla madre, avrà difficoltà a giocare con altri coetanei se questo comporta allontanarsi dalla madre, diventando il “cocco di mamma” sempre debole ed incapace di difendersi oppure avrà scoppi d’ira quando le cose non vanno come lui/lei vorrebbe. Dobbiamo essere coscienti che i bambini diventano molto bravi a capire come far sentire in colpa i genitori per poter così avere un controllo su di loro ed averli a disposizione ogni volta che lo desiderano.
E i padri? Qual’è il loro compito?
Sintetizzando possiamo dire che il ruolo paterno è soprattutto quello di cooperare; il padre deve accettare la centralità del ruolo materno almeno nei primi periodi della vita e aiutarla a incoraggiare il bambino ad aprirsi al mondo. Il rapporto paterno rappresenta il primo rapporto “sociale” del bambino ed è fondamentale per superare la “fusione” con la madre, necessaria all’inizio ma assolutamente da superare.
La coppia genitoriale rappresenta anche il primo esempio di collaborazione per il bambino; è qui che il bambino può osservare la capacità adulta di mettere da parte i propri bisogni per il bene dell’altro e della coppia, il benessere comune al di sopra di quello individuale, ovviamente tutto ciò con equilibrio e buon senso.
E’ importante che le famiglie non siano lasciate sole in tutto questo. Infatti la spinta verso l’autonomia e la cooperazione crea bambini sereni che diverranno adulti felici e capaci di contribuire al benessere della società. Di certo la scuola deve sempre più occuparsi di queste tematiche e non tanto puntare a distribuire nozioni e informazioni ai nostri bambini.
Anche le Arti Terapie possono dare un forte contributo. In particolare la #musicoterapia attiva con l’utilizzo di strumenti musicali che stimolano la libera espressione e l’applicazione di essa in gruppo può funzionare proprio come facilitatore verso l’autonomia e la condivisione in gruppo di un’esperienza piacevole; provare strumenti musicali differenti che non richiedono una preparazione musicale ma possono essere suonati spontaneamente incoraggia il bambino e sperimentarsi con suoni diversi in un’atmosfera di libertà e creatività , cercando di trovare i suoni da lui preferiti che rispondono così anche al suo stile e caratteristiche. Suonare in gruppo con la facilitazione del conduttore permette di sviluppare le abilità sociali, rispettare l’espressione e i tempi di ciascuno e quindi insegna a sacrificare parte del proprio spazio per il bene del gruppo godendo così del piacere e benefici dati dalla condivisione.
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Sono molti anni ormai che la psicoterapia viene studiata, sia attraverso ricerche ti tipo qualitativo (senza cioè dei dati studiabili statisticamente, ma solo attraverso il report di casi clinici) sia quantitativamente (attraverso strumenti di osservazione statistici applicati ad un campione di soggetti ampio, producendo così dati scientificamente validi).
L’efficacia della psicoterapia individuale è ormai accertata (Gabbard, 2015). Esistono ormai tante ricerche che dimostrano in modo inequivocabile l’efficacia della psicoterapia individuale nel trattare sintomi come ansia o depressione e nel migliorare la qualità di vita (Luborsky et al., 1975; Shedler, 2010; Smith et al., 1980).
Le ricerche in campo biopsicologico hanno recentemente dimostrato che la relazione ed i fattori psicosociali modificano l’espressione genetica (Tienari et al.,2004) e che i trattamenti psicologici influiscono e modificano l’attività cerebrale ( Wykes et al., 2002; Roffman et al., 2005).
Durata della psicoterapia
Molti studi dimostrano l’efficacia di differenti forme di psicoterapia per il trattamento di quasi tutti i disturbi mentali e fisici, confrontandoli con interventi placebo (Heru, 2006).
Il trattamento non deve essere per forza lungo; esistono ormai diverse forme di psicoterapia breve che in poco tempo (da 8 a 15 sedute max) riescono a risolvere sintomi specifici o problemi relazionali. Anche in questo campo ci sono ormai tantissime ricerche che lo dimostrano (Crits-Christoph, 1992; Anderson e Lambert, 1995; Abbass et al., 2006). La differenza di efficacia tra psicoterapie brevi e lunghe sta nella gravità dei sintomi e della durata del disturbo; le terapie lunghe di tipo psicodinamico, ad esempio, sembrano più indicate nei casi gravi e cronici (Leichsenring e Rabung, 2008).
La relazione terapeutica e la fiducia
Il fulcro principale di qualsiasi forma di psicoterapia è la relazione; ecco perché il professionista, psicologo o medico psichiatra, deve essere sufficientemente formato su tutti gli aspetti che concorrono a formare e mantenere una buona relazione; dagli aspetti verbali (ad esempio il tipo di linguaggio utilizzato), a quelli non verbali ( il riconoscimento dei messaggi lanciati dal corpo e l’utilizzo della voce), alla gestione emotiva di se stessi ed al riconoscimento delle emozioni provate dal paziente, allo sviluppo di capacità empatiche e relazionali. Tutto ciò è la base sulla quale poi si inseriscono le conoscenze tecniche di interventi specifici che ogni scuola di psicoterapia propone.
Intervento personalizzato
La ricerca del “senso” del disturbo (es: ansia, panico o depressione) è fondamentale per i nostri pazienti (Barron, 2005) che ci chiedono soprattutto di essere ascoltati, riconosciuti ed incoraggiati nella loro soggettività. Allora una delle maggiori peculiarità dello psicologo-psicoterapeuta sarà quella di costruire un intervento ritagliato sulla specifica persona che ci chiede aiuto, basandosi sulle proprie caratteristiche personologiche ( meccanismi di difesa utilizzati, aspettative e modalità relazionali apprese nel corso della vita, sintomi presentati ecc..) e sui suoi specifici bisogni ( riconoscimento, stima, dipendenza, autonomia ecc…) che solo la formazione specifica da psicologo e da psicoterapeuta può fornire al professionista.
Costi
La psicoterapia è quindi un intervento altamente professionale e come tale ha un costo; tuttavia diverse ricerche dimostrano come aumentare la spesa pubblica e privata in psicoterapia (nell’area dei disturbi mentali e psicosomatici) è un modo in realtà per risparmiare future spese e disagi legati al cronicizzarsi dei sintomi che può portare a diversi tipi di inabilità e patologie croniche che finiscono per pesare sulla società e peggiorare la qualità di vita dei pazienti (Gabbard et al., 1997). Infondo l’obbiettivo principale della psicoterapia è aumentare il benessere sia psicologico che economico dell’individuo.
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Oggi si parla molto di autostima. Ma come possiamo definirla? Quali sono le sue caratteristiche principali?
Di seguito ho provato a tracciare tre delle principali componenti dell’autostima:
1) AMORE DI SE’
Può essere considerato il fondamento dell’autostima che riguarda l’ accettazione di sé. E’ quel fattore che ci permette di dire: “mi apprezzo e mi accetto per quello che sono. Riconosco i miei limiti e tento di migliorarmi, pertanto sono degno d’amore e di rispetto”.
2) VISIONE DI SE’
Ovvero lo sguardo che rivolgo a me stesso. Aspetto che riguarda le convinzioni e le credenze che ciascuno si è formato rispetto a se stesso. Pertanto, più che fornire un quadro obiettivo della nostra personalità, la visione di sé ci informa su come noi crediamo di essere. Tanto più realistica è questa visione, tanto meglio e tanto prima riusciremo ad individuare i percorsi attraverso i quali realizzare il nostro potenziale. Una visione positiva di sé costituisce la forza interiore che ci consente di affrontare e superare le avversità.
3) FIDUCIA IN SE’
Elemento che pone l’accento sulla scoperta e sulla consapevolezza del proprio valore e che, conseguentemente, determina la spinta ad agire per realizzare le nostre potenzialità, in accordo con i nostri bisogni e desideri più profondi. Aver fiducia in sè significa credere in se stessi e nelle proprie capacità di agire in maniera adeguata nelle situazioni importanti. La fiducia in sé è fondamentale perché l‘autostima ha bisogno di azioni per svilupparsi e mantenersi.
Penso che l’integrazione di questi tre aspetti sia la ricetta per una sana e solida autostima! L’amore per se stessi consegue una buona immagine di sé e la fiducia in se stessi non può non nascere dal benevolo sguardo che rivolgiamo a noi stessi.
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