Psicologo torino per ansia, attacchi di panico, autostima, depressione, difficoltà relazionali. Supporto psicologico e psicoterapia in studio e online su Skype e WhatsApp.
Narcisismo e autostima fragile. Ciao a tutti, questo articolo e video fa parte della playlist che sto realizzando sull’autostima. Se ti sei perso i video precedenti ti lascio qui il link alla playlist che sto realizzando sul mio canale youtube. Mi raccomando iscriviti al canale e attiva la campanella per rimanere sempre aggiornato sui video che pubblico.
Narcisismo e autostima
Come ho accennato nello scorso video una forma di autostima malsana è il narcisismo. Si sente spesso parlare male del narcisismo e dei narcisisti. Certo può essere difficile convivere con una persona narcisista, sia nella vita privata che a lavoro.
Ma come cercherò di spiegare in questo video in realtà la persona narcisista è a sua volta una persona a cui manca un sano equilibrio psicologico, spesso nata in una famiglia che non ha saputo svolgere in modo corretto il ruolo educativo e che da adulto spesso soffrirà oltre che arrecare sofferenze.
Certamente non voglio giustificare chi crea problemi e sofferenze agli altri, ma è necessario comprendere come nasce il narcisismo per non cadere banalmente in una distinzione tra buoni e cattivi. Inoltre comprendere ci aiuta a superare e affrontare anche questa tipologia di persone.
Narcisismo: caratteristiche principali
Bene, chiarito questo vediamo quali sono le caratteristiche del narcisismo.
Esistono due tipi di narcisismo. Nel primo, quello più classico, possiamo osservare 3 tratti caratteristici: la grandiosità (nel senso di sentirsi grandiosi, superiori agli altri), la mancanza di empatia (incapacità di sintonizzarsi con i bisogni e le emozioni degli altri) e un bisogno intenso, eccessivo di ammirazione. Naturalmente queste 3 componenti possono essere presenti in dimensioni diverse a seconda della persona.
Il secondo tipo di narcisismo viene definito “covert” (nascosto): in questo caso il soggetto è ipersensibile alle critiche e totalmente concentrato al di fuori di se; osserva l’altro per valutare come viene visto, giudicato e si offende molto facilmente. Tutti noi possediamo un certo grado di amore per noi stessi ed è sano che sia così; possiamo dire che fino ad un certo grado esiste un narcisismo sano! Diventa patologico quando la capacità di amare e di entrare in empatia con gli altri salta, è l’altro diventa solo un oggetto “usato” per soddisfare i propri bisogni.
Quindi in entrambe le tipologie di narcisismo che vi ho presentato il problema è sempre l’autostima; infatti questi soggetti lottano per cercare di mantenere in piedi la stima di se stessi. Il primo cerca di stupire e impressionare mentre il secondo cerca di evitare le situazioni dove può sembrare vulnerabile e studia come può apparire agli altri.
Come si diventa narcisisti
Ma come mai il narcisista si comporta così? E’ dovuto al rapporto con i genitori, alle esperienze infantili oppure si nasce con questi tratti e quindi è una questione genetica? La ricerca non ha saputo ancora rispondere in modo chiaro a questa domanda, probabilmente è un insieme di tutti questi fattori combinati.
L’esperienza clinica con questi pazienti ci ha insegnato che spesso sono nati in famiglie dove veniva chiesto loro (a volte in modo diretto altre volte in modo indiretto) di adeguarsi alle aspettative (spesso perfezionistiche) e ai bisogni dei genitori, non ricevendo stima e affetto per quello che erano realmente, quindi una famiglia dove è mancata una reale empatia e ascolto e una gestione corretta della relazione. Oppure a volte nascono in famiglie troppo indulgenti, che hanno riempito i figli di complimenti e attenzioni che poi loro non ritrovano nel mondo esterno.
Conclusioni
Quello che è importante capire è che le persone con una personalità o solamente dei tratti narcisistici hanno un’autostima molto fragile e cercano in tutti i modi di evitare situazioni dove sentono che sia messo in discussione il loro valore, e possono farlo con la grandiosità e l’aggressività oppure con una estrema timidezza e ritiro dalla società.
Cerchi uno Psicologo Torino ? Se hai bisogno di una consulenza psicologica o di iniziare un percorso di psicoterapia contattami:
Dott. Michele Verrastro
Psicologo Psicoterapeuta (ricevo nel mio studio a Torino oppure online)
Autostima come si forma e quando è sana. Oggi voglio cercare di rispondere a questa domanda: come si forma l’autostima? Cos’è che crea un’autostima alta o bassa? Come avere un’autostima sana?
Che cos’è l’autostima
L’autostima è l’atteggiamento che ognuno di noi ha nei confronti di se stesso. Questo atteggiamento è il risultato delle credenze e opinioni che si hanno verso se stessi e quindi di conseguenza delle emozioni che proviamo verso di noi ( affetto, indifferenza, ostilità) e dei comportamenti che agiamo verso di noi ( ad esempio se ci trattiamo con rispetto o meno). Quindi sono fondamentali le credenze su di noi, tutto parte da lì.
Come si forma l’autostima: il ruolo delle credenze
Nella vita tendiamo ad accumulare credenze e schemi su di noi e sul mondo; la tendenza a formarsi degli schemi è assolutamente normale ed è in realtà una preziosa risorsa che ci ha donato la natura per sopravvivere.
Avere delle credenze ci permette di analizzare in modo più veloce quello che ci sta capitando, fare una valutazione e decidere.
Tra le varie credenze e pregiudizi che man mano ci formiamo nella vita ci sono anche quelle riguardanti noi stessi e la nostra autovalutazione. Questo è fondamentale perché ci permette di stabilire se siamo in grado o meno di fare qualcosa e di avere successo in una attività… se penso di saltare da un cornicione ad un altro di due palazzi vicini è importante che abbia una chiara e precisa valutazione sulle mie capacità di saltare.. se so di non avere una simile capacità di salto allora deciderò di non farlo e magari scenderò dal cornicione e entrerò nell’altro palazzo dalla porta d’ingresso!
Il problema è quando le credenze su di noi non sono realistiche , cioè se ci sopravvalutiamo o se ci svalutiamo! Se io non credo nella possibilità di poter cambiare lavoro e trovarne uno che mi piaccia di più non mi metterò alla ricerca oppure non cercherò di migliorare le mie competenze magari facendo dei corsi…
Difficoltà di modificare una credenza
Ci sono due problemi legati alle credenze. Il primo è che sono difficili da modificare, infatti al nostro cervello in realtà non piace molto cambiare perché ciò richiede un forte dispendio di energia; quando un pensiero è automatico (inconscio) spende pochissima energia. L’altro problema collegato al primo è che istintivamente cerchiamo conferme alle nostre credenze e arriviamo a distorcere la realtà o comunque a leggerla a favore di queste credenze.
Le credenze e le valutazioni su noi stessi che diventano nostre sono quelle che vengono rinforzate e sottolineate e a cui viene data più attenzione a partire dall’infanzia: quindi spesso alla base della bassa autostima c’è stata ad esempio un’educazione dove sono stati molto sottolineati gli errori e le mancanze piuttosto che i pregi.
Autostima come si forma quella sana
Quindi come avrete capito l’autostima si forma con l’interiorizzazione dentro di noi, diventando inconsce, di queste credenze e a seconda che siamo più o meno positive avremo un’autostima più alta o più bassa.
L’autostima sana consiste nel riconoscere in noi in modo ragionevole alcuni pregi e alcuni difetti, provando emozioni positive di comprensione e accettazione per questi. Quindi l’autostima malsana è fatta di giudizi rigidi su di noi sia in senso di svalutazione che di sopravvalutazione. La persona con una buona autostima sa chi è, ed ha quella sana fiducia in se stessa che gli permette di accettare di sbagliare senza paura; è disposta ad accettare i successi e gli insuccessi della vita e quindi non dipenderà eccessivamente dal giudizio degli altri.
Cerchi uno psicologo a Torino? Contattami senza impegno se vuoi una consulenza psicologica o vuoi iniziare un percorso di psicoterapia :
Dott. Michele Verrastro Psicologo Psicoterapeuta a Torino: tel 3332176670 email: michele.verrastro@gmail.com.
Che cos’è l’ansia sociale? Con questo articolo affronto un tema importante collegato all’autostima e cioè la paura del giudizio che si concretizza nella forma più semplice e comune nella timidezza e nella sua forma patologica nell’ansia sociale o fobia sociale.
In questo articolo cercherò di distinguere tra timidezza e disturbo d’ansia sociale. Cercherò di spiegare quando si può parlare di una vera e propria patologia su cui è possibile intervenire con lapsicoterapia.
Introduzione
Voglio infatti subito chiarire che tutti noi, prima o poi, sperimentiamo episodi di ansia sociale o timidezza. Infatti ogni volta che dobbiamo affrontare un evento sociale dove verremo esposti all’osservazione di altre persone e quindi ad un possibile giudizio, avvertiamo un disagio che è normale se rimane ad un livello tale da non bloccarci o portandoci a rinunciare.
Ci sono anche delle sfumature individuali; alcune persone sono caratterialmente più timide, ma non per questo vivono grosse limitazioni nella vita. Pensiamo ad un grandissimo attore e regista italiano come Massimo Troisi che ha trasformato la sua timidezza in un valore aggiunto nei sui film.
In questo articolo vedremo come questo tipo di ansia sociale può diventare realmente un problema che ci blocca e peggiora la qualità della vita fino a diventare una vera e propria fobia. Vi spiegherò anche quali sono gli interventi terapeutici più efficaci e vi suggerirò quattro semplici tecniche che potrete subito utilizzare. Vorrei però chiarire da subito che ciò non può sostituirsi ad una psicoterapia quando il problema diventa troppo invasivo.
Disturbo d’ansia sociale
Partiamo allora cercando di dare una definizione di disturbo d’ansia sociale. E’ un disturbo molto diffuso nella popolazione (dal 5 al 7 %), la sua caratteristica di base è la paura del giudizio degli altri. Vediamo la definizione che ne dà il DSM: il manuale di riferimento per quanto riguarda la diagnosi dei disturbi mentali: “Paura marcata e persistente di una o più situazioni sociali o prestazionali nelle quali la persona è esposta a persone non familiari o al possibile giudizio degli altri. L’individuo teme di agire (o di mostrare sintomi di ansia) in modo umiliante o imbarazzante.”
Da questa definizione emerge quindi chiaramente come il fattore principale sia la paura del giudizio. Chi ne soffre ha paura di mostrare i sintomi della propria ansia, come tremore, rossore, sudorazione intensa, sensazione di blocco mentale, amnesia, abbassamento o tremore nel tono della voce, tachicardia e inoltre teme di comportarsi in modo goffo e inadeguato. Chi ne soffre sperimenta inoltre una intensa aspettativa del fallimento e della critica da parte degli altri. L’insieme di queste sintomatologie si evidenziano spesso drammaticamente nelle occasioni in cui occorre parlare in pubblico.
Il manuale specifica inoltre che se questi sintomi durano per più di 6 mesi e compromettono la vita sociale e lavorativa allora, molto probabilmente, siamo di fronte ad un vero e proprio disturbo (quindi non si può parlare più di sola timidezza) che sarà bene affrontare in una psicoterapia.
Ansia sociale: comportamenti che peggiorano e mantengono il disturbo
Esistono una serie di comportamenti che, oltre a mantenere il disturbo, poi contribuiscono a peggiorare la situazione. A) Evitamento: di fronte a situazioni ansiogene tendiamo tutti ad evitare il disagio che ci provocano; questa strategia però ci crea limitazioni nella vita sociale peggiorando il disturbo e la conseguente idea di non essere in grado di affrontare quelle situazioni. Il risultato non può che essere una riduzione dell’autostima.
B) Anticipazione negativa: consiste nell’immaginare situazioni di forte ansia e disagio prima ancora di sperimentarle; ad esempio se in una riunione devo parlare difronte ad alcuni colleghi immagino già di avere la bocca secca, di sbagliare le parole, di bloccarmi nel discorso e di essere deriso o criticato. Queste aspettative negative oltre a creare sofferenza contribuiscono a mantenere in piedi il disturbo. Si prefigurano così immagini catastrofiche che drammatizzeranno la situazione, con un effetto di profezia autorealizzante. Vi faccio notare come questo meccanismo non fa altro che andare a rinforzare le credenze patologiche su di se che ognuno di noi ha.
Rimedi
Come uscire da tutto questo? Molte ricerche scientifiche hanno dimostrato che la strada più efficace è la psicoterapia. L’approccio migliore prevede 3 tappe fondamentali:
a) storia di vita del soggetto: si ricostruisce con il soggetto la sua storia familiare e evolutiva andando alla ricerca di quelle situazioni familiari o sociali alla base di quelle credenze patogene e inconsce all’origine della fobia sociale.
Infatti le persone spesso non capiscono l’origine delle loro paure ma attraverso questo tipo di ricerca non è raro che scoprano che esse sono strettamente legate a dinamiche e modalità relazionali vissute in famiglia. Ad esempio può capitare di nascere in una famiglia dove è già presente una forte ansia per il giudizio, la tendenza al perfezionismo, la paura ad esprimersi; queste modalità vengono facilmente assimilate dal soggetto senza che egli ne abbia consapevolezza e non è raro che giunga ad identificarsi con esse. La stessa cosa avviene quando i nostri errori vengono corretti con eccessiva severità creando così non solo sensi di colpa e vergogna ma impattando negativamente sulla nostra autostima.
b) mettere in discussione i pensieri automatici: si aiuta la persona a prendere consapevolezza delle proprie credenze automatiche al fine di distanziarsene. Si riduce in questo modo la tendenza alla drammatizzazione dei propri vissuti.
c) l’esposizione in vivo: si costruisce in terapia una scala delle 10 situazioni dove si sperimenta più ansia sociale, mettendo al primo posto quella che crea più ansia e al decimo quella che crea meno ansia. Si aiuta poi la persona ad affrontarle una alla volta in modo che possa scoprire di essere in grado di gestirle. Ciò non potrà che aumentare la fiducia in se stesso e l’autostima.
Tre consigli pratici
se la vostra è una leggera ansia sociale vi basterà seguire alcuni semplici consigli per ridurre la sensazione di disagio.
A) Un primo consiglio è razionalizzare la paura prima di parlare in pubblico o in una qualsiasi situazione sociale provando a chiedersi: ma l’ansia che sto provando è davvero proporzionata alla situazione? Per contrastare la tendenza all’evitamento posso invece domandarmi: mi conviene lasciar scappare questa occasione sociale o lavorativa?
B) Poi è importante esporsi gradualmente alle situazioni che più ci fanno paura creando, come ho spiegato prima, una lista delle 10 situazioni che ci trasmettono più ansia e provando pian paino ad affrontarle; si parte dalla situazione che provoca meno ansia e si passa alla successiva solo dopo che avvertiamo una sostanziale riduzione dell’ansia.
C)Inoltre può essere utile abbinare semplici tecniche di respirazione come la respirazione diaframmatica per una riduzione immediata dell’ansia o tecniche più complesse come il training autogeno che nel lungo periodo possono essere di aiuto.
D) Se dovete parlare in pubblico provate ad osservarlo un po’ prima di salire sul palco in modo da renderlo più familiare. Potete anche immaginate le persone in una situazione quotidiana. Questo vi aiuterà a familiarizzare con il pubblico e ad avvertire meno paura del loro giudizio nei vostri confronti. Se questi 4 consigli non dovessero bastarvi allora vi consiglio di rivolgervi ad uno psicologo psicoterapeuta per aiutarvi a superare il problema.
Perché è in aumento?
Ma perché questo tipo di ansia è in aumento? Uno dei più importanti fattori è a mio parere legato al tipo di società in cui viviamo con ritmi sempre più frenetici e dalle esigenze che essa ha nei nostri confronti rispetto al passato: sempre più spesso ci viene richiesto di rendere al massimo delle nostre possibilità, di mostrarci prestanti ed efficienti in ogni occasione.
Insomma in questo mondo, dove tutto corre sempre più veloce, la tua autostima è sempre più determinata dal valore che gli altri ti attribuiscono piuttosto che dalle risorse che possiedi e che vorresti esprimere. L’invito è quindi quello di puntare a sviluppare se stessi dando meno peso alle aspettative degli altri riscoprendo così la nostra unicità.
Conclusioni
Tutti prima o pio sperimentiamo un po’ d’ansia sociale. Diventa un problema se ci blocca eccessivamente e ci fa rinunciare a occasioni importanti che la vita ci offre. In questo caso è importante farsi aiutare da uno psicologo psicoterapeuta e iniziare una psicoterapia.
Cerchi uno psicologo Torino? Chiamami senza impegno al 333/2176670.
oppure scrivimi: michele.verrastro@gmail.com
Iscriviti al mio canale youtube Assertività e Autostima dove ogni settimana pubblico un nuovo video su temi psicologici come assertività, autostima, crescita psicologica.
Fare esperienza nella vita è importante. Imparare direttamente sulla nostra pelle è fondamentale. Il vero apprendimento passa attraverso l’esperienza diretta. Per aumentare una bassa autostima bisogna fare nuove esperienze che poco alla volta modificano il giudizio che abbiamo di noi stessi. In questo articolo voglio spiegarvi come la buona autostima si costruisce poco alla volta concedendosi di fare esperienze, provare, sbagliare, capire cosa dobbiamo modificare e ripetere.
Autostima e esperienze
Cosa si intende per autostima? Mi riferisco al livello di fiducia, apprezzamento, stima, soddisfazione che sentiamo per noi stessi. Una buona autostima non consiste nel sentirsi infallibili o onnipotenti, ma avere una realistica visione di se stessi fatta di pregi e difetti e avvertire una buona fiducia nella possibilità di raggiungere gli obbiettivi che abbiamo in mente. Questa fiducia non nasce in noi spontaneamente ma si costruisce nel tempo facendo esperienza diretta che siamo in grado di affrontare e risolvere le piccole e grandi difficoltà della vita.
Fare o pensare?
Quando facciamo qualcosa concretamente, non solo riflettendo o pensandoci, i ricordi si fissano in maniera più forte nella nostra memoria. Se poi la stessa esperienza o comportamento la ripetiamo più volte essa si fissa così in profondità nella nostra memoria inconscia da diventare automatica. La stima di noi stessi si basa proprio sul vedere concretamente che possiamo riuscire a fare ciò che abbiamo in mente, a realizzare i nostri obiettivi, partendo da cose semplici. Questo percorso inizia da bambini; i genitori devono quindi sostenere ed accompagnare i figli ma devono anche lasciarli liberi di fare esperienze e fare i propri errori! Ecco perché chiudere i figli in una campana di vetro è sbagliato!!
Ovviamente anche pensare e riflettere è importante, soprattutto quando abbiamo cercato di fare qualcosa ma abbiamo commesso degli errori; è importante in questo caso prendersi del tempo per pensare ai motivi per cui abbiamo sbagliato e elaborare nuove strategie. Tuttavia a volte il pensare troppo diventa una difesa per non affrontare la paura di agire e di sbagliare! Ricordiamoci sempre che tutti commettiamo errori! E’ attraverso gli errori che si impara.
Le esperienze emotive correttive
Per capire meglio il concetto che oggi voglio passarvi provo a fare un esempio. Immaginiamo di voler giocare a tennis per la prima volta; non avendo mai preso lezioni da un maestro iniziamo ad impugnare la racchetta in un modo tecnicamente sbagliato. Così continueremo ad usare quell’impugnatura per molte volte, magari mesi o anni, facendola diventare per noi naturale, automatica. Prima o poi potremmo accorgerci dell’errore, magari perché ci duole il polso o perché qualcuno ci fa notare che con quell’impugnatura non ottimizziamo i colpi. Quindi a questo punto dovremo prima osservare e riflettere su come modificare questa abitudine sbagliata e poi ripetere tante e tante volte i nuovi movimenti fino a farli diventare un’abitudine. Questo fatto richiede tempo ed energie anche perché il nostro cervello è “abitudinario”, non gli piace cambiare perché il cambiamento richiede sforzo e energie.
Questo principio vale per tutti gli aspetti della vita. Se ad esempio ho accumulato delusioni e fallimenti nella vita relazionale, mi aspetterò che anche il prossimo rapporto sarà una delusione! Anche in questo caso dovrò accorgermi di come io stesso contribuisca a questi fallimenti, mettendo in atto dei comportamenti di cui spesso non si è neanche coscienti. Potrei ad esempio accorgermi che scelgo sempre lo stesso tipo di partner, con gli stessi tipi di caratteristiche psicologiche e atteggiamenti! Avrò quindi tutta una serie di rapporti “fotocopia”, ripetendo sempre lo stesso copione; Sigmund Freud chiamava questo meccanismo inconscio “coazione a ripetere”.
Quindi per prima cosa dovrò diventare consapevole dei miei “meccanismi” e automatismi mentali riflettendo, poi dovrò provare a sperimentare nuovi tipi di partner e comportamenti. A questo punto se tutto funziona inizierò ad accumulare nuove esperienze emotive e affettive più soddisfacenti. Queste nuove esperienze è come se “correggessero” le esperienze precedenti e vengono definite esperienze emotive correttive ( F. Alexander, 1946).
Ti apparirà ora chiaro perché crescere e cambiare è un processo lungo; bisogna infatti collezionare un numero significativo di nuove esperienze positive che rinforzino le nuove abitudini e si sostituiscano alle vecchie.
Ecco perché quando stiamo cercando di migliorarci in qualcosa, di crescere, di cambiare dobbiamo avere pazienza con noi stessi; non basta una sola volta per cambiare un atteggiamento o un comportamento, ma dobbiamo ripetere più volte la stessa esperienza perché diventi inconscia e automatica.
Concediamoci quindi la possibilità di sbagliare, perché sbagliare è normale ed è solo attraverso gli errori che possiamo imparare.
Conclusioni
Migliorare la stima comporta necessariamente cambiare qualcosa, nel modo in cui pensiamo a noi e nelle emozioni e sentimenti che proviamo prima di tutto verso noi stessi.
Per farlo dobbiamo metterci in gioco, provare, sperimentare, fare errori, valutare cosa funziona e cosa no, e poco alla volta collezionare nuove esperienze che si sostituiscano a quelle vecchie. Tutto ciò richiede tempo e impegno ma la soddisfazione finale è impagabile!
Hai dubbi o domande?
Cerchi uno psicologo a Torino? Contattami al 333/2176670 o scrivimi a questo indirizzo email:
Nel mio lavoro di psicologo a Torino capita che i pazienti presentino sintomi depressivi. Molto spesso in realtà non si tratta di una vera e propria depressione ma solo di “tratti”, sfumature caratteriali o piuttosto comportamenti che richiamano il quadro depressivo.
Depressione o tristezza?
E’ importante infatti distinguere tra tristezza e depressione vera e propria: può capitare che un periodo di vita difficile ci faccia sentire tristi. Magari perdiamo il lavoro o ci lascia il fidanzato/a e sicuramente il nostro umore diventa nero per questo. Ma questo non vuol dire essere depressi. La tristezza infatti non è una malattia ma una delle emozioni di base presenti in tutti noi; quindi in questi casi non va curata con i farmaci ma solo affrontata e gestita.
Infatti nel nostro parlare comune si sente spesso usare la parola “depressione” senza sapere bene di cosa si sta parlando. Si sente spesso dire “oggi mi sono svegliato male, sono spento e depresso” …. oppure “ieri la mia squadra di calcio del cuore ha perso la partita e oggi mi sento depresso!”. Il termine depressione è quindi entrato nel nostro linguaggio comune e spesso viene usato a sproposito.
Depressione: i sintomi
Esistono diversi tipi di depressione ed è molto importante che la diagnosi sia fatta da un clinico esperto nel settore come uno psicologo psicoterapeuta o uno psichiatra. Ci tengo a sottolineare questo punto perché la depressione è una malattia vera e propria fonte di forti sofferenze ed è importante cercare già dall’inizio di avere una diagnosi precisa in modo da poter scegliere il giusto percorso di cura.
In questo articolo quando parlo di depressione mi riferisco alla depressione maggiore che tra le forme depressive è quella più conosciuta e diffusa in Italia.
Depressione maggiore
Si può definire come un disturbo della sfera emotiva, da distingue dalla demoralizzazione e tristezza per intensità e durata dei sintomi, che porta alla riduzione delle capacità relazionali, lavorative ed affettive della persona. Il sintomo principale è la perdita di interesse verso tutte le attività che prima creavano piacere e interesse nel soggetto; poi si registra un appiattimento del tono dell’umore, apatia (calo di interesse e partecipazione sia intellettuale che affettiva), astenia (sensazione di esaurimento fisico e psichico) disturbi del sonno, disturbi dell’appetito, disturbi gastrointestinali e sintomi cognitivi (riduzione dell’attenzione e concentrazione) . Tutti questi sintomi devono essere presenti per almeno due settimane. Colpisce nel mondo il 4,4 % della popolazione e a soffrirne sono soprattutto le donne, circa due o tre volte di più degli uomini. In italia sono circa 3 milioni le persone che ne soffrono. L’impatto economico di questa malattia nel nostro Paese è di 4 miliardi di euro all’anno.
Cause e rimedi
Riguardo alle cause oggi la ricerca è orientata per un’ origine multifattoriale: ci sono cioè diversi aspetti che intervengono e interagiscono. La genetica gioca un ruolo ma sicuramente è parziale, così come la familiarità. Sono invece particolarmente importanti tutte le condizioni (a partire dalla vita fetale) di esposizione a stress, traumi, abusi, abbandoni, maltrattamenti, perdite affettive. Altri aspetti che possono influire sull’emergere di un disturbo depressivo maggiore sono l’abuso di sostanze, disturbi del sonno e l’alimentazione sbagliata. Quindi non c’è un’unica causa ma un’insieme di fattori che si sommano.
Come si cura la depressione maggiore? E’ possibile uscire dalla depressione? Come ho scritto all’inizio di questo articolo è importante prima di tutto una diagnosi corretta e accurata. Può essere utile l’utilizzo di farmaci almeno nel primo periodo se lo psichiatra lo ritiene necessario. Per comprendere però le cause profonde, affrontare i nodi psicologici sottostanti e cercare di uscire dalla depressione è fondamentale iniziare una psicoterapia con uno psicologo psicoterapeuta.
Psicologia della persona depressa
Di solito la persona depressa si percepisce come incapace di ricevere attenzione e amore, non degna di ascolto e di poter esprimere i propri bisogni emotivi più intimi e profondi. Si ritiene non adeguata e in diritto di essere accettata per quello che è e può dare. Spesso non si sente all’altezza delle situazioni trovandosi quindi a rinunciare ed arrendersi perché non pensa di meritare di raggiungere traguardi e soddisfazioni. Avverte spesso sensi di colpa per i propri bisogni e forte disprezzo o odio di sé. Tutto ciò chiaramente impatta negativamente sull’autostima che è quindi molto bassa.
E’ importante chiarire che queste caratteristiche psicologiche possono essere presenti sia in una persona con una diagnosi di depressione maggiore che in una persona che ha una personalità che funziona in modo depressivo oppure che ha dei tratti depressivi.
Ci sono quindi persone che non rientrano nel quadro della depressione maggiore ma hanno un modo di leggere la realtà e vivere che è depresso.
Psicoterapia della depressione
Esistono due modi generali di affrontare la depressione durante una psicoterapia; si può lavorare sulla gestione dei sintomi e sull’origine oppure sulle cause psicologiche e relazionali/familiari di questo disturbo e sulle dinamiche che lo mantengono. Per mia esperienza e formazione preferisco lavorare il più possibile sul secondo approccio perché alla lunga è quello che favorisce la conoscenza di se stessi e porta ad un cambiamento e crescita psicologica più profondi.
La storia personale e i rapporti familiari
La cura della depressione attraverso la psicoterapia deve partire prima di tutto dalla ricostruzione della storia di vita del soggetto.
E’ importante capire se ci sono stati altri casi di depressione o di tratti depressivi in famiglia soprattutto perché il paziente potrebbe aver assimilato modi di pensare e di vedere la realtà identificandosi con un genitore o familiare. Infatti quando siamo bambini viviamo inconsciamente i genitori come delle entità perfette e onnipotenti.
Non siamo in grado di metterli in discussione e quindi apprendiamo osservandoli e identificandoci con loro, nel bene e nel male!
Le frasi che i genitori ci hanno detto, i giudizi su di noi o sulla realtà ci entrano dentro, diventano parte delle nostre memorie inconsce e diventano come delle lenti attraverso cui guardiamo il mondo.
Credenze e sensi di colpa
Proprio dalle dinamiche familiari possiamo sviluppare delle “credenze” distorte sulla realtà e sui rapporti, che per questo vengono definite “credenze patogene”. Queste influenzano la nostra autostima e i nostro bisogno sano di realizzarci e godere della vita. Si possono sviluppare anche sensi di colpa inconsci; cioè ci convinciamo in modo inconscio che se diventiamo autonomi o ci affermiamo nella vita qualcuno soffrirà o che non siamo meritevoli di amore e stima, che dobbiamo insomma punirci.
Ma fortunatamente una psicoterapia fatta bene può aiutarci a modificare tutti questi meccanismi e riconquistare la serenità.
Conclusioni
Esistono molte forme di depressione; una delle più diffuse è la depressione maggiore. E’ importante distinguere tra l’emozione della tristezza che fa parte della vita e la vera depressione. Quest’ultima colpisce più le donne che gli uomini e ogni anno crea un forte danno sociale ed economico. L’origine è multifattoriale. E’ possibile guarire affrontando una psicoterapia e se necessario assumere alcuni farmaci ma solo per un periodo limitato e seguendo le indicazioni di uno psichiatra.
Vuoi sapere in cosa consiste la psicoterapia? Clicca qui:
Esercito la professione di psicologo e psicoterapeuta a Torino presso il mio studio in via Sostegno n.4. Fammi sapere se hai domande o dubbi su questo articolo o su altri temi psicologici.
Cerchi uno psicologo Torino? Scrivimi o chiamami senza nessun impegno:
Ansia… come gestirla? In questo video continuo a parlarvi di come fare a gestire l’ansia, in particolare l’ansia inappropriata, Molti si chiedono: ansia come combatterla? Ma è proprio vero che bisogna combattere l’ansia? Può infatti capitare a tutti di avvertire un’ ansia perenne che ci accompagna durante tutta la giornata o un’ansia senza motivo…
Abbiamo visto che la paura è una delle 6 emozioni di base e quindi come tale non è patologica, ma una risorsa fondamentale che ci ha donato la natura per proteggerci dai pericoli e sopravvivere. La paura “sana” nasce infatti da un pericolo reale esterno o interno a noi, tipo una macchina che ci sta venendo addosso mentre attraversiamo una strada oppure un forte mal di stomaco che avvertiamo dopo aver mangiato qualcosa di avariato.
L’ansia è invece una risposta psicofisica più vaga, complessa e aspecifica rispetto alla paura. Infatti l’ansia prevede la presenza di pensieri di pensieri anticipatori rispetto al futuro spesso negativi e catastrofici; se questi pensieri diventano preponderanti si parla di ansia anticipatoria.
Ansia e stress sono componenti presenti nella vita di ognuno di noi; non dobbiamo quindi pensare di eliminare l’ansia ma di gestirla poiché se impariamo a capire il significato e i sintomi può diventare un’ occasione di crescita e di cambiamento.
L’ansia infatti ci spinge ad agire: immaginiamo di avere appena saputo che a lavoro stanno per licenziare alcuni dipendenti per un taglio al personale; questa notizia ci farà provare un’ansia reattiva che ci metterà in moto per trovare delle soluzioni: potremo aggiornare il nostro curriculum o iniziare un corso di formazione o andare a parlare con il nostro capo etc…
Se però prendono il sopravvento i pensieri catastrofici ecco che potremmo trovarci nella situazione di un’ansia continua e forte che potrebbe trasformarsi in un’ansia cronica!
Vi spiego di seguito due tecniche che possiamo utilizzare in questi casi. Potrebbero sembrare degli esercizi contro l’ansia, ma in realtà sono solo delle strategie per imparare a gestirla meglio, proprio perché non è nostra nemica di per sé!
Ansia cosa fare: respiriamo correttamente
Quando siamo in ansia tendiamo a respirare con la parte apicale dei polmoni facendo respiri corti e aumentando il numero dei cicli respiratori; questa modalità però ci fa incanalare troppo ossigeno e in fretta e contribuisce ad aumentare l’ansia. Questo tipo di respirazione corta e intensa ci arriva dall’evoluzione: infatti gli animali respirano in questo modo quando si preparano a correre per scappare o attaccare.
Quindi quando ci accorgiamo di respirare in questo modo possiamo sederci comodamente su di una sedia con la schiena dritta; prendiamo l’aria dal naso e buttiamola fuori dalla bocca lentamente ( guarda il video) e senza forzare. E’ necessario inspirare per circa tre secondi e buttare fuori l’aria lentamente dalla bocca per circa 6 o 7 secondi. Facciamo almeno 8 respiri così da seduti.
Ansia cosa fare: mettiamo in discussione i pensieri catastrofici
Come ho spiegato all’inizio di questo articolo alla base dell’ansia cronica, generalizzata e “inappropriata” ci sono i pensieri automatici catastrofici. Un famoso psicologo americano Albert Ellis ci ha insegnato che per ridurre l’ansia è utile mettere in discussione tutti quei pensieri catastrofici e ipergeneralizzati che si creano in noi durante i momenti di ansia e stress e che contribuiscono sia a crearla che a mantenerla.
Nel primo video di questa serie ho spiegato come sia importante mettere per iscritto questi pensieri automatici, scrivendoli amano su di un foglio. Fatto questo è importante rileggerli e vedere come sono accumunati dal tentativo di rifiutare qualcosa o dal volere che qualcosa assolutamente accada.
Leggendo bene si vedrà che è possibile facilmente aggiungere il verbo “deve” sia nella forma affermativa che negativa; ecco alcuni esempi: “non devo assolutamente sbagliare”, “non devo assolutamente perdere il lavoro, sarebbe una catastrofe”, “non mi deve trattare male”, “tutti mi devono portare rispetto”, “devo terminare questo lavoro al più presto” etc…. tutti questi “devo”, “deve” o ” non devo”, “non deve” descrivono quindi un pensiero rigido, schematico, ipergeneralista. Ecco che allora dobbiamo provare a mettere in discussione questi pensieri e chiederci : “ma perché devo per forza….”, oppure ” perché lui o lei devono per forza…”, “per quale ragione logica e scientifica le cose devono andare come io vorrei?”..
Perché devo per forza no sbagliare mai? Sarà una catastrofe se succede? Perché devono trattarmi sempre tutti bene? E’ una catastrofe se qualche volta non succederà? Morirò per questo?…
Provate a mettere in discussione i vostri pensieri automatici in questo modo.
Conclusioni
Ansia come gestirla? L’ansia non è di per sé patologica, ma può essere utile per segnalarci che qualcosa della nostra realtà è cambiata o sta cambiando. Solo quando diventa eccessiva, inappropriata rischia di trasformarsi in ansia cronica e generalizzata. Riprendere una corretta respirazione e imparare a gestire e contestare i pensieri automatici catastrofici ci può aiutare.
Questi sono solo alcuni utili consigli che però non possono sostituire un percorso di psicoterapia.
Cerchi uno psicologo a Torino? Contattami senza impegno al 333/2176670 oppure scrivimi: michele.verrastro@gmail.com
Quando una coppia è all’inizio della propria storia il sesso è molto più facile che funzioni bene. Ogni occasione è buona per fare sesso e l’eccitazione e il piacere si raggiungono più facilmente per entrambi. La novità infatti gioca un ruolo importante e così il “mistero” che rappresenta per noi l’altra persona ancora tutta da scoprire.
Può capitare però che con il passare del tempo diventi più difficile per la coppia mantenere lo stesso livello di eccitazione e desiderio sessuale; ecco che il sesso nella coppia cambia….
Questo cambiamento può portare ad una riduzione della frequenza dei rapporti sessuali ( in parte anche normale e fisiologica) fino alla mancanza totale di rapporti sessuali.
Cosa è successo?
I due partner si fanno questa domanda, poiché non capiscono cosa stia accadendo alla loro vita sessuale; sentono di amarsi come prima o forse di più tuttavia il desiderio sessuale si è come affievolito e per alcuni spento.
Fare l’amore è importante, ormai tante ricerche scientifiche lo dimostrano e non fare l’amore per tanto tempo può danneggiare il rapporto di coppia.
Ma che cosa è successo? Per rispondere a questa domanda bisogna partire dal presupposto che il sesso ha bisogno di essere libero da eccessivi limiti morali e sensi di colpa. Il piacere per essere intenso deve avvenire in una situazione psicologica di libertà e accettazione. Come afferma lo psicoterapeuta Micheal Bader il sesso deve essere “selvaggio e spietato”nel senso che se è accompagnato da troppi sensi di colpa è come un fuoco che si spegne.
Alla “brava” moglie non piace il sesso.
Nelle coppie etero sessuali può capitare che la donna, soprattutto dopo il matrimonio, si identifichi con il ruolo della brava moglie e brava madre. Questo è un modello ereditato dalla propria madre o dalla cultura di appartenenza. Inconsciamente pensa che suo marito o il suo compagno si aspetti questo da lei.
Resiste infatti nella nostra società l’idea che non si possa essere contemporaneamente una donna che ama il piacere e una buona madre/moglie, come se un ruolo escludesse l’altro!!
Il “bravo” marito
Allo stesso modo molti uomini sono inconsciamente convinti che la propria “brava” moglie sia fondamentalmente asessuata, fragile e pura sentendosi così responsabili nei suoi confronti di poterla ferire, umiliare o degradare con i propri desideri e fantasie.
Molti uomini che vivono le donne in maniera scissa. In loro resiste uno stereotipo di genere che vede le donne divise in due categorie: madri o prostitute. Tutto ciò spinge l’uomo a sopprimere la propria eccitazione perché il suo inconscio lo porta a pensare che la propria donna abbia bisogno di protezione e non di libertà sessuale.
Rimedi pericolosi
A questo punto può capitare che l’uomo diventi sessualmente libero in altri ambiti: inizia a proiettare i propri desideri e fantasie sessuali su attrici porno, fa ricorso a prostitute o incontri di sesso casuale, poiché percepiscono queste donne che percepiscono come libere sessualmente e desiderose di sesso.
A livello psicologico l’uomo si sente rassicurato a vivere il sesso con queste donne perché è convinto che anche loro amino e cerchino il piacere sessuale.
Come sostiene Bader in questi casi il dramma è che anche la donna della coppia vorrebbe fare sesso più spesso è più liberamente! Infatti ha represso i propri desideri sessuali convinta che questo sia ciò che desiderava l’uomo o le aspettative della famiglia e società poiché appunto non le è concesso di provare una sano e “selvaggio” desiderio sessuale.
Conclusioni
Come si può facilmente capire da queste riflessioni ciascuno di noi porta con sé una serie di convinzioni inconsce che possono ostacolare una sana e libera vita sessuale. E’ importante che nella coppia ci sia libertà di poter esprimere le proprie convinzioni, paure e fantasie, poiché dialogando molte di queste difficoltà si possono facilmente superare.
Può capitare a tutti di avere un attacco di panico almeno una volta nella vita; il problema insorge quando questi attacchi sono ripetuti nel tempo e limitano la nostra vita. Se iniziamo a non prendere più treni, aerei, guidare in macchina ecc, per paura di avere un attacco di panico allora è il momento di intervenire e farsi aiutare. Infatti l’evitamento delle situazioni temute che possano generare attacchi di panico, non fa altro che rinforzare la paura e rovinare la nostra qualità di vita.
Attacchi di panico: i sintomi caratteristici
Il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-IV-TR) descrive così l’attacco di panico: ” un periodo preciso di paura o disagio intensi, durante il quale quattro (o più) dei seguenti sintomi si sono sviluppati improvvisamente ed hanno raggiunto il picco nel giro di 10 minuti:
palpitazioni, cardiopalmo o tachicardia
sudorazione
tremori fini o a grandi scosse
dispnea o sensazione di soffocamento
sensazione di asfissia
dolore o fastidio al petto
nausea o disturbi addominali
sensazioni di sbandamento, di instabilità, di testa leggera o di svenimento
derealizzazione (sensazione di irrealtà) o depersonalizzazione (essere distaccati da se stessi)
paura di perdere il controllo o di impazzire
paura di morire
parestesie (sensazioni di torpore o di formicolio)
brividi o vampate di calore”
Come avviene un attacco di panico
L’attacco di panico dura in media pochi minuti ma è fonte di una grande angoscia e paura per chi lo sperimenta. Oltre a sensazioni fisiologiche fastidiose come sudorazione, dispnea, vertigini e tachicardia si avverte spesso una forte paura di stare per morire. I pazienti con disturbo da panico spesso soffrono anche di agorafobia, che consiste nella paura di trovarsi “intrappolati” in un posto o in una situazione nella quale è difficile o imbarazzante allontanarsi o dove non è disponibile l’aiuto di qualcuno.
L’evitamento: il modo “sbagliato” di prevenire.
Data la forte sofferenza e disagio provati in quei momenti, i pazienti iniziano a sviluppare una paura “anticipatoria” di quando e dove potrà avvenire il prossimo attacco di panico . Questo porta molte persone a “evitare” tutte quelle situazioni che immaginano possano scatenare attacchi di panico; questo comportamento può talmente rinforzarsi da limitare in modo consistente la vita. Alcuni infatti arrivano a non prendere più aerei, ascensori, andare in ristoranti o locali, chiudendosi letteralmente in casa e mettendo a rischio i rapporti sociali, affettivi e il proprio lavoro.
Significato psicologico degli attacchi di panico
Molti pazienti all’inizio non riescono a spiegarsi il motivo di questi attacchi: “….ho sempre percorso in macchina quella strada, decine di volte, eppure quel giorno ho avuto proprio lì un attacco di panico, mentre guidavo!!”. Frasi come queste capita spesso di sentirle nella mia professione di psicologo psicoterapeuta e indicano la sensazione di come questi attacchi “arrivino dal nulla”; sembrano senza una spiegazione ragionevole. Alcuni poi tendono a banalizzare attribuendoli a stanchezza, stress o a quello che hanno mangiato la sera prima! Purtroppo non può essere così soprattutto se ci sono più episodi ripetuti nel tempo.
Il compito dello psicologo ad orientamento psicodinamico è quello di comprendere il significato di questi attacchi; spesso sono l’espressione di un conflitto psicologico più profondo e quindi non consapevole. Può capitare infatti che senza accorgersene limitiamo le nostre possibilità, ci giudichiamo per emozioni o desideri che proviamo ma che non ci possiamo permettere di sentire per ragioni educative o sociali.
A volte ci costringiamo in ruoli che non sono i nostri o che ci stanno ormai troppo stretti come il marito perfetto, la moglie perfetta, l’amico sempre disponibile o l’essere sempre “buoni” ecc… ma noi siamo fatti di tante parti, ed a volte alcune di queste proprio non ci piacciono e non volgiamo accoglierle ed ascoltarle o ci sentiamo in colpa nell’esprimerle.
Conclusioni
Il panico crea tanta sofferenza in chi lo incontra nella vita, ma se decidiamo di ascoltare che cosa ci vuole dire può diventare una incredibile occasione per conoscere meglio noi stessi e scoprire il nostro vero Se; questa è l’unica strada per ritrovare il benessere.
Cerchi uno Psicologo Torino? Chiamami senza impegno al 333/2176670 oppure scrivimi: michele.verrastro@gmail.com
Un racconto di Kafka, grande scrittore ceco vissuto a cavallo tra il 1800 ed il 1900 (1883-1924) ci offre alcune riflessioni molto interessanti sulla paura, su come essa ci possa ostacolare nella vita se non impariamo a riconoscerla, gestirla e affrontarla, senza farci gestire da lei!! Il racconto in questione è “Davanti alla legge” del 1915 che ha sicuramente un significato più ampio riconducibile all’esistenzialismo di cui Kafka faceva parte. Tuttavia leggendolo in chiave psicologica offre spunti interessanti inerenti il tema dell’affrontare la paura e dell’osare. Tutto ciò che scrivo in questo articolo è frutto di mie riflessioni personali come uomo e come psicologo; non posso sapere se l’autore le avrebbe condivise 🙂
Prima di continuare con la lettura di questo mio articolo vi consiglio di leggere il racconto; è molto breve, solo una pagina, ci impiegherete pochi minuti. Lo trovate a questo link:
Il racconto narra di un uomo che un giorno si ferma di fronte alla porta della Legge perché vorrebbe entrare; ma trova un “guardiaportone” che ha il compito di vigilare e fermare chi cerca di entrare senza permesso. L’uomo chiede di entrare ma il guardiano gli risponde che ora non può entrare ma che c’è la possibilità che possa farlo più tardi.
Da questo momento si susseguono tutta una serie si “tormenti interiori” nell’uomo che è in aperto conflitto fra il suo desiderio di entrare e le parole del guardiaportone che non rappresentano un vero e proprio “no” ma neanche un incoraggiamento o un’autorizzazione esplicita: il protagonista sembra bloccato, proprio sul fatto di dover essere lui a decidere ed a prendere la completa responsabilità delle sue scelte.
Leggendo il racconto il personaggio sembra rimanere per tutto il tempo come attanagliato dal dubbio; si fa e pone mille domande ma non passa all’azione. Eppure alla fine del racconto, quando ormai il protagonista è diventato vecchio, il “guardiaportone” gli spiega che quella porta era destinata solo a lui eppure non ha saputo o voluto entrarci.
Come reagiamo alla paura
Affrontare la paura Psicologo Torino
Questo racconto mi fa pensare a come a volte affrontiamo la paura e la differenza tra ansia e paura.
Spesso infatti ci facciamo bloccare da essa; incontriamo un qualunque ostacolo nella nostra vita (nel lavoro, nelle relazioni ecc….) e ci sembra subito insormontabile. Sentiamo una forte emozione, ma non riusciamo a stare con essa e gestirla; la rifiutiamo, perché pensiamo che “non dovremmo” sentirci così; ci sentiamo “deboli” e “fragili” e di essere sbagliati perché proviamo paura. Ecco che allora reagiamo scappando, evitando. In questo modo non facciamo altro che rafforzare le nostre paure che diventano sempre più grandi, come dei fantasmi che ci perseguitano proprio perché continuiamo a scappare!
Come mai ci succede questo? Le ragioni possono essere molte. C’è qualcosa in comune nelle storie delle persone che hanno difficoltà con la paura. Infatti spesso sono stati dei bambini a cui non è stato insegnato ad accogliere e gestire la paura, perché a loro volta sono figli di genitori che avevano difficoltà a riconoscere, accettare e gestire le emozioni.
Meglio osare e affrontare la paura
Osare per affrontare la paura Psicologo Torino
Impariamo ad osare! Non esisteranno mai situazioni prive di rischi; non potremo mai essere sicuri al 100% in quello che facciamo; questa ricerca della sicurezza va spesso a braccetto con il perfezionismo. Infatti se abbiamo un “copione interno” che senza esserne coscienti ci impone di essere perfetti non riusciremo a decidere e agire in situazioni che non sono perfettamente chiare ai nostri occhi o privi del rischio di sbagliare.
Ma questa è una gabbia! Infatti la creatività, che è un elemento base per progredire e star bene della vita, è sorella dell’imperfezione; si riesce a percorrere strade nuove solo se proviamo ad entrarci senza ben sapere cosa succederà!
Infondo il rischio che corriamo è quello di imparare qualcosa di nuovo dalle esperienze che facciamo e anche dai nostri errori che sono veri e propri maestri!
Cerchi uno psicologo a Torino? Chiamami senza impegno al 333/2176670 oppure scrivimi: michele.verrastro@gmail.com
Nel mio lavoro di psicologo utilizzo spesso la musicoterapia recettiva sia in maniera individuale che gruppale poiché tramite essa è possibile aggirare le resistenze psicologiche (prettamente dovute alla razionalità ed al bisogno di controllo) e mettere in moto la creatività, alleata indispensabile per risolvere i piccoli o grandi conflitti che ognuno di noi ha. Infatti è difficile accedere a livelli più profondi della psiche che sfuggono alla consapevolezza cosciente; spesso ci difendiamo da parti di noi stessi che non vogliamo conoscere per paura o perché ci giudichiamo severamente. La musicoterapia recettiva ci può aiutare a superare le resistenze della razionalità e conoscerci meglio!
La musicoterapia essendo una tecnica prettamente non verbale riesce ad aggirare le barriere della razionalità e le nostre difese per farci accedere a ciò che è più profondo e autentico in noi; lo psicoanalista C.G. Jung definiva ciò le nostre parti “ombra”. Se in questa ricerca siamo condotti da un’ esperto di cui ci fidiamo perché riteniamo un bravo psicologo e compagno di viaggio, allora riusciremo a superare le nostre paure e a scoprire parti di noi anche apparentemente non belle (come egoismo, narcisismo ecc..) ma che possiamo trasformare in potenti alleati per fare del bene a noi e al mondo che ci circonda.
La Musicoterapia Recettiva
Nonostante esistano molti tipi e tecniche di musicoterapia è fondamentalmente possibile individuarne due tipologie: la musicoterapia attiva (che utilizza strumenti musicali che non richiedono una preparazione musicale specifica) e la musicoterapia recettiva, oggetto di questo articolo.
La musicoterapia recettiva consiste essenzialmente nell’ascolto di musica (pre-registrata o suonata in diretta dal conduttore) in forma individuale o gruppale. In questo caso la musica agisce su di noi in due modi: 1) oggettivamente: attraverso l’effetto che la musica ha sul corpo e il cervello; 2) soggettivamente: l’ascolto musicale produce immagini e vissuti emotivi diversi per ciascuno di noi.
Studi sugli effetti della musica recettiva
A partire dalla metà del 1900 sono stati sempre più studiati gli effetti dell’ascolto musicale sul cervello e sul corpo, grazie soprattutto allo sviluppo di tecnologie come la T.A.C. o la P.E.T. Questi studi coinvolgono quindi direttamente la musicoterapia recettiva. E’ stato così ampiamente dimostrato che la musica è in grado di produrre emozioni e stimolare funzioni del Sistema Nervoso Centrale. Alcuni ricercatori hanno cercato di capire se diversi tipi di musica inducessero lo stesso tipo di effetti sulle persone. Nel 2009 B.L. Copland e B. Don Franks pubblicarono uno studio sulla musicoterapia recettiva dove emerse una correlazione tra l’ascolto di musica lenta, di basso volume e facile ascolto con la diminuzione della frequenza cardiaca e la ridotta percezione dello sforzo durante un esercizio fisico; hanno inoltre rilevato una correlazione tra l’ascolto di musica ad alta intensità (volume) e ritmicamente veloce con l’aumento della frequenza cardiaca. In un’altro studio del 2009 si è trovata una correlazione significativa (P=0.05) tra l’ascolto di estratti di musica classica caratterizzati da un crescendo di intensità, con l’aumento del ritmo respiratorio e cardiaco, quindi registrando un’attivazione del Sistema Nervoso Autonomo; si è inoltre osservato come l’ascolto di brani uniformi produca una vasodilatazione e riduzione della pressione sanguigna. In effetti ciascuno di noi quando ha voglia di rilassarsi sceglie di solito musiche lente, con note lunghe e con un volume medio basso. Mentre se vuole “caricarsi” in media sceglierà una musica incalzante e a volume più alto. La musicoterapia recettiva può essere quindi un valido strumento per ridurre l’ansia (https://www.musicaeterapia.it/2018/12/22/psicologo-torino-ansia-rimedi-parte-1/)
Effetti transculturali
Ma questi effetti valgono al di là della cultura di appartenenza? Alcuni ricercatori hanno cercato di rispondere a questa domanda. Nel 2009 è stato pubblicato uno studio su 41 soggetti, 21 appartenenti alla cultura Mafa (popolazione nativa africana) e 20 cittadini statunitensi. Lo studio ha dimostrato che nonostante le differenze culturali entrambi i gruppi riconoscevano ed attribuivano ai brani ascoltati (che appartenevano al genere della western music) le stesse tre emozioni base: felicità, tristezza, paura.
Effetto soggettivo dell’ascolto musicale
Ogni brano musicale suscita emozioni ed immagini che possono essere diverse per ciascuno di noi. Ciò è strettamente connesso alle nostre esperienze di vita e memorie inconsce. Immaginiamo ad esempio di ascoltare un brano musicale con diversi strumenti a percussione che di solito suscitano immagini di gruppo (come rituali o feste) associate a sensazioni di piacere e divertimento; se però la persona che ascolta ha difficoltà psicologiche e relazionali nello stare in gruppo (per diverse ragioni soggettive) potrà patire l’ascolto e verbalizzare immagini dove ad esempio il gruppo non compare. In questo caso quindi la musicoterapia recettiva può essere utilizzata dallo psicologo per aiutare il soggetto a scoprire le parti di se stesso rimosse dalla coscienza e quindi diventare consapevole delle proprie modalità relazionali, cercando così di integrarle con altre più funzionali.
Riassunto
La musicoterapia recettiva utilizza l’ascolto musicale come strumento di intervento sia individuale che gruppale. La ricerca ci dice che esistono dei parametri sonoro musicali che tendono a suscitare in media un vissuto simile nell’essere umano al di là della cultura di appartenenza. Esiste però una risposta individuale che dipende dalle esperienze e dalla storia del singolo individuo. Utilizzare la musicoterapia recettiva all’interno di un percorso psicologico può essere d’aiuto a conoscere meglio se stessi e il proprio modo di stare nelle relazioni potendo così intervenire per modificare gli aspetti disfunzionali.
Zatorre R.J., Belin P., Penhume V.B., 2002; Fritz T., Jentschke S., Gosselin N., Sammier D., Peretz L, Turner R., Friederici A.D., Koelsch S., 2009.
Copland B.L., B. Don Frank, 1991; Bernardi L., Porta C., Casucci G., Balsamo R., Bernardi N., Fogari R., Sleight P., 2009.
L. Bernardi, C. Porta, G. Casucci, R. Balsamo, N. Bernardi, R. Fogari, P. Sleight, 2009.
Fritz T., Jentschke S., Gosselin N., Sammier D., Peretz I., Turner R., Friederici A.D., Koelsch S., Universal Recognition of Three Basic Emotion in Music, Current Biology 19, April 14, 2009, (573-576);
Cattich N., Saglio G., L’oltre e l’altro. Arte come terapia, Priuli & Verlucca editori, Borgaro T.se (To), 2009;
Cerchi uno psicologo a Torino? Chiamami al 333/2176670 o scrivimi : michele.verrastro@gmail.com.