
Introduzione
Hai mai provato ansia proprio nel momento in cui tutto sembrava andare per il meglio? Provare ansia quando tutto va bene è un fenomeno molto più comune di quanto si pensi. Un nuovo lavoro, una relazione appagante, una fase serena della tua vita… eppure, sotto la superficie, una voce interiore sussurra che qualcosa potrebbe andare storto. Se ti riconosci in questa sensazione, sappi che non sei solo.
In questo articolo esploreremo in profondità questo paradosso psicologico: perché l’ansia si presenta proprio nei momenti di calma e successo? Quali meccanismi mentali la alimentano? Come affrontarla in modo costruttivo? Scopriremo anche come questa forma di ansia può diventare un’occasione per comprendere meglio noi stessi.
Cos’è l’ansia “paradossale”?
L’ansia è una risposta naturale del corpo e della mente a una minaccia percepita. Ma cosa succede quando quella minaccia non esiste? Quando tutto sembra, razionalmente, andare bene? In questi casi parliamo di ansia anticipatoria o ansia paradossale: uno stato emotivo in cui l’individuo si sente in allerta o preoccupato nonostante non ci sia un pericolo reale.
I sintomi più comuni
Chi sperimenta ansia anche quando la vita è serena può manifestare:
• Pensieri catastrofici (“E se qualcosa andasse storto?”)
• Difficoltà a rilassarsi o godersi il momento presente
• Sensazione di colpa per sentirsi bene
• Paura che la felicità sia “troppo bella per durare”
• Tensione muscolare, affaticamento, insonnia
• Bisogno di ipercontrollo su ogni aspetto della vita.
Perché proviamo ansia quando tutto va bene?
Questa forma di ansia può avere molteplici radici psicologiche, spesso intrecciate tra loro. Ecco le più comuni:
1. Paura dell’imprevedibilità
Molte persone sviluppano un bisogno di controllo come risposta a traumi passati o esperienze destabilizzanti. Quando la vita va bene, l’assenza di problemi può far emergere una sensazione di incertezza: “Per quanto durerà questa pace?”. La felicità, non essendo completamente sotto controllo, può sembrare pericolosa.
2. Schemi mentali negativi interiorizzati
Se durante l’infanzia o l’adolescenza hai interiorizzato l’idea che “la felicità non dura” o che “non meriti il successo”, potresti inconsciamente sabotare il tuo benessere. Questi schemi cognitivi disfunzionali, spesso derivanti da modelli genitoriali o educativi, creano un conflitto tra ciò che vivi e ciò che credi di meritare.
3. Abitudine al disagio
Alcune persone crescono in ambienti emotivamente instabili o stressanti. In questi casi, il cervello si abitua a vivere in uno stato costante di allerta. Quando finalmente si raggiunge una fase di serenità, il sistema nervoso – ancora regolato sulla modalità “sopravvivenza” – può rispondere con ansia.
4. Fobia della felicità
Sì, esiste davvero. È chiamata cherofobia, ovvero la paura di essere felici. Chi ne soffre può temere che la felicità sia seguita inevitabilmente da qualcosa di brutto. Questo meccanismo può portare a evitare attivamente situazioni gratificanti o a provare ansia proprio nei momenti di gioia.
5. Conflitto tra desideri e paure
A volte il benessere raggiunto attiva desideri profondi, come investire in una relazione, cambiare lavoro o mettersi in gioco. Ma questi desideri possono anche generare paure inconsce: paura di fallire, di non essere all’altezza, di deludere gli altri. L’ansia emerge come sintomo di questo conflitto interno.
6. Senso di colpa del “sopravvissuto”
Alcune persone si sentono inconsciamente in colpa se la loro vita è migliore di quella dei loro cari e delle persone che stanno intorno a loro. Questo specifico senso di colpa è stato per la prima volta individuato nei sopravvissuti ai cambi di concentramento che si sentivano in difetto per essere sopravvissuti a differenza dei loro familiari e amici.
Il ruolo del cervello: un’ipotesi evolutiva
Dal punto di vista evolutivo, il cervello umano è progettato per prevedere e prevenire i pericoli. Nei momenti di tranquillità, può attivare una sorta di “scansione del pericolo” per individuare minacce potenziali, anche quando non ce ne sono. È un tentativo del nostro sistema nervoso di “prepararsi al peggio”, nel timore che la calma sia solo temporanea.
Come distinguere un’ansia fisiologica da un disturbo
Provare un po’ di preoccupazione o inquietudine, anche quando le cose vanno bene, può essere normale. Ma quando questa sensazione:
• è frequente o persistente
• compromette la tua capacità di goderti la vita
• ti porta a evitare situazioni positive
• si manifesta con sintomi fisici ricorrenti (tachicardia, insonnia, tensione)
…allora è il caso di approfondire. Potrebbe trattarsi di un disturbo d’ansia generalizzato (GAD) o di un disturbo d’ansia con caratteristiche atipiche.
Cosa fare se provi ansia anche quando tutto va bene
1. Riconosci e accetta l’ansia
Il primo passo per gestire l’ansia è accettarla senza giudicarti. Spesso, chi vive questo tipo di ansia si vergogna: “Come posso sentirmi così se la mia vita va bene?”. In realtà, l’ansia non segue la logica, ma emozioni profonde. Accogliere ciò che senti è già una forma di guarigione.
2. Metti in discussione i pensieri automatici
Impara a riconoscere i pensieri distorti o catastrofici. Alcuni esempi comuni:
• “Va tutto troppo bene, qualcosa andrà male”
• “Non mi merito questa felicità”
• “Meglio non affezionarsi troppo a questo momento”
La terapia cognitivo-comportamentale (CBT) lavora proprio su questi pensieri, aiutandoti a sostituirli con interpretazioni più realistiche e rassicuranti.
3. Lavora sulle tue convinzioni profonde
L’ansia che emerge nei momenti positivi può rivelare convinzioni inconsce su te stesso e sul mondo. Chiediti:
• Cosa credo di meritare davvero?
• Che idea ho della felicità? La vedo come instabile, pericolosa, irraggiungibile?
• Quali esperienze passate influenzano il mio rapporto con il benessere?
Un percorso terapeutico può aiutarti a portare a galla queste credenze e trasformarle.
4. Allena la consapevolezza del momento presente
La mindfulness è una pratica efficace per uscire dal circuito dell’ansia anticipatoria. Riporta la tua attenzione al “qui e ora”, allenando la mente a godere del presente senza giudicarlo né temere il futuro. Anche solo 10 minuti al giorno di meditazione possono fare la differenza.
5. Normalizza la felicità
Sì, anche la felicità ha bisogno di essere normalizzata. Non è un lusso né un’illusione passeggera: è una parte legittima della vita. Più ti abitui a vivere momenti positivi senza sospetto, più il cervello imparerà che può sentirsi al sicuro anche nella gioia.
Quando rivolgersi a un professionista
Se l’ansia diventa pervasiva o ti impedisce di vivere serenamente, non esitare a chiedere aiuto. Uno psicologo o psicoterapeuta può offrirti gli strumenti per:
• comprendere le radici della tua ansia
• sviluppare nuove modalità di pensiero
• regolare meglio le tue emozioni
• costruire un rapporto più sano con la felicità
Ricorda: non c’è nulla di sbagliato in te. Provare ansia nei momenti felici è una richiesta di ascolto, non un difetto da correggere.
Conclusione
L’ansia quando tutto va bene può sembrare paradossale, ma è un segnale importante. Racconta di ferite, paure e credenze che meritano di essere viste e accolte. Non combatterla, ma ascoltala. Dietro quel disagio potrebbe esserci il tuo desiderio più autentico: imparare a fidarti della serenità, godere senza paura, e accogliere la felicità come un diritto, non come un rischio.
Domande frequenti (FAQ)
1. È normale provare ansia anche quando va tutto bene?
Sì, è più comune di quanto si pensi. Molte persone sperimentano ansia in momenti di felicità per timore che qualcosa possa rovinarla.
2. L’ansia quando tutto va bene può diventare un disturbo?
Sì, se è persistente e compromette il benessere quotidiano può rientrare nei disturbi d’ansia e va trattata con l’aiuto di un professionista.
3. Qual è la terapia più indicata per questo tipo di ansia?
La terapia cognitivo-comportamentale (CBT) è particolarmente efficace, ma anche approcci basati sulla consapevolezza (mindfulness) o la psicoterapia psicodinamica possono essere utili.
4. Devo sentirmi in colpa se non riesco a godermi la felicità?
Assolutamente no. L’ansia non è una colpa ma una richiesta di ascolto. Può indicare una difficoltà profonda che merita attenzione, non giudizio.
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